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Ken Russell non scandalizza più

Morto il regista inglese principe delle trasgressioni.
di Pino Farinotti

In foto una scena del film Tommy.

martedì 29 novembre 2011 - Focus

Bizzarro, scandaloso, eccessivo, dannato, magari geniale. Soprattutto, il cinema di Ken Russell era riconoscibile, lo era in modo violento. Violenza può essere uno dei molti codici, magari quello prevalente, che gli si possono applicare. Violento era il suo approccio col linguaggio e la regia, quello con gli autori che dalla carta traduceva in pellicola. Violenta era la sua musica, lo erano i protagonisti (ignari, loro malgrado) delle sue biografie. Bizzarre, e "diverse" erano state le sue scelte di vita, da giovanissimo pilota della Raf, a ballerino ad autore e regista televisivo. Fu proprio alla Bbc che mostrò la sua prima attitudine, che erano la musica e le biografie. Russell non aveva freni e pudori. Dovette mediare, contenere la propria inventiva quando, per il piccolo schermo si applicò a personaggi come Isadora Duncan, Béla Bartòk , Claude Debussy e a Richard Strauss. Pur mettendoci del suo, naturalmente, dovette aderire alla storia e alle biografie senza tracimare. Ma fu solo un esercizio iniziale, una presa di sicurezza e di mestiere. Quando con il grande schermo e il colore mise le mani su altri maestri ed eroi, il maestro ed eroe era soprattutto Ken. Ciaikovskij, Listz e Mahler, soggetti di suoi film erano solo uno strumento per l'arte di Russell, poco importava la verità storica, valeva l'intenzione e l'indicazione che il regista intendeva dare.
Ma era una lesa maestà rivista da qualcuno che era a sua volta maestà. La prima lesa maestà avvenne con D.H. Lawrence da cui il regista di Southampton trasse Donne in amore, il titolo che gli diede l'imprimatur di autore vero. La franchigia ottenuta gli concesse l'ulteriore legittimazione a stravolgere storie e vite. Violentare può significare distruggere. Se il povero Listz si fosse visto nel film Lisztomania certo ne sarebbe rimasto scosso. Vale anche per Rodolfo Valentino.
Per quel personaggio Russell assunse Nureyev, che era più matto di lui. Furono scintille che avrebbero potuto bruciare attore regista e film, ma poi Ken trovò la formula per il rapporto, che era la trasgressione e l'ironia. Così Nureyev-Valentino diventa seduttore ma molto, molto ambiguo, balla il tip tap su un tavolo e soprattutto si esprime in un tango quasi d'amore con Nijinsky. Verità oppure no, licenze o non licenze, Valentino è un film di Russell, un modello perfetto rispetto a tutti gli aggettivi dell'inizio, comunque un film ricordabile. A uno spirito come quello di Russell non poteva non appartenere la curiosità e l'esperimento. Si impegnò in qualcosa di sperimentale ma non come fine magari astruso o incomprensibile, ma con un destino, anche se il destino a volte non era compiuto fino in fondo. Forse esagerò con Tommy, applicando a quell'opera un'estetica, nel colore e nel linguaggio, una cifra che fosse non solo trasgressiva ma stupefacente, preoccupandosi, lo faceva sempre, che creasse problemi nella definizione e nella descrizione.
Gli piaceva mettere a disagio e non essere capito fino in fondo. Nel '71 girò Il Boy Friend, un musical che ripercorreva i cliché hollywoodiani, ma con felici inserti alla Russell. I maestri ispiratori, come Berkeley e Donen, andavano rispettati, così come le musiche mitologiche di quei decenni dorati del musical. Per metterci il suo segnale, nel solito contesto dell'unicum, Russell si inventò Twiggy, l'impalpabile modella, come ballerina: lei così statica nella sua bellezza disegnata. Il grande scandalo il regista lo fece da noi, a Venezia, quando nel '71 presentò I diavoli. C'era proprio tutto in quel film, per farsi mettere all'indice: streghe e suore che facevano sesso, la chiesa messa alla berlina, la morale ignorata o capovolta. Si mosse la magistratura e si mosse il Vaticano. Ci furono censura, processo e sequestro. Tutta pubblicità per il film naturalmente, che tornò nelle sale e fece record al botteghino. Succedeva così anche quarant'anni fa.

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