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Valentina Lodovini, il cinema e la dignità delle donne

Ospite al GFF, l'attrice umbra parla degli inizi e dei suoi sogni.
di Giovanni Bogani

In foto l'attrice Valentina Lodovini.
Valentina Lodovini (46 anni) 14 maggio 1978, Umbertide (Italia) - Toro.

martedì 19 luglio 2011 - Incontri

Bella, e non solo. Preparata, colta, innamorata del cinema d'autore. E per favore, non ditele che è l'erede della Magnani. Non si sente all'altezza. Però, un po' di quel piglio, di quella libertà, di quella dolce malinconia appassionata sono, evidenti, nel suo viso.
Valentina Lodovini, trent'anni e spiccioli, frontaliera tra Toscana e Umbria – è nata a Umbertide, vive a Sansepolcro – è una delle realtà belle del cinema di oggi. Un David di Donatello come miglior attrice non protagonista, vinto per la sua interpretazione in Benvenuti al Sud. E molti progetti. Che racconta a Giffoni, dove è stata ospite del Giffoni film festival, la più grande manifestazione al mondo dedicata al cinema per ragazzi. Arriva con un vestito di Stella McCartney, la figlia di Paul. Fiori neri su fondo beige, maniche a pipistrello, gambe chilometriche, tacchi vertiginosi.

Valentina, ma è vero che hai iniziato a fare cinema perché, alla Mostra di Venezia, hai sbattuto la faccia contro De Niro?
"No, non è andata così", ride. "È vero che andavo alla Mostra del cinema di Venezia, è vero che quella volta ero andata a vedere Sleepers, è vero che ho incontrato De Niro a pochi centimetri di distanza. Ma, semmai, il mio mito era ed è Al Pacino. E poi, ho cominciato a studiare cinema dopo, e per strade tutte differenti".

Avevano accostato il tuo nome, a lungo, ad un progetto di biografia di Anna Magnani. Ma non lo farai?
"Non io. Ho detto di no, proprio perché Anna Magnani, per me, è una divinità. Non sono, in assoluto, contraria alle biografie. Ma ci vuole un grande progetto, per affrontare una donna così immensa. E non ero del tutto convinta di quello che mi veniva proposto".

Hai accettato, invece, di girare Cose dell'altro mondo di Francesco Patierno, con Diego Abatantuono e Valerio Mastandrea che uscirà il prossimo settembre. Di cosa si tratta?
"È un film che parla dell'immigrazione, in modo intelligente. Siamo nella provincia veneta, profondo Nordest italiano. Il film racconta il rapporto che differenti persone hanno con gli immigrati. E mette in scena le conseguenze della loro scomparsa, per ciascuno dei personaggi. Così, vengono fuori le ipocrisie, l'incoerenza di tutti, in questo mondo occidentale dove ci lamentiamo della presenza dell' 'altro', ma ne abbiamo bisogno".

Sei anche molto attiva nel movimento "Se non ora, quando?", che difende i diritti delle donne. Pensi che davvero le donne, oggi, siano discriminate?
"Sì. Penso che ancora l'uguaglianza tra donne e uomini non esista. Penso, anzi sono sicura, che l'unico lavoro in cui le donne sono in maggioranza, nella nostra società, è quello di casalinga. In tutti gli altri ruoli, ci sono più uomini. Anche nel cinema. Persino per noi attrici – privilegiate, comunque – è difficile trovare ruoli che non siano subordinati al maschio: la moglie, l'amante, la figlia... Sempre legate a una presenza maschile. Per non parlare degli altri ruoli. Quanti direttori della fotografia, quanti tecnici del suono, quanti sceneggiatori donna conosciamo?".

Beh, Suso Cecchi d'Amico ha fatto la storia del cinema italiano, ed era donna. E Cristina Comencini, Francesca Archibugi, Cinzia Torrini...
"Sì, ma moltissime altre sceneggiatrici brave, oggi, fanno fatica. Come la mia compagna di studi al Centro sperimentale, Ilaria Ravarino... Io non mi lamento. Sono strafortunata. Ma è vero che, in generale, c'è tanto maschilismo, ancora, e c'è tanta misoginia nel lavoro".

Che cosa è cambiato, nella tua vita, dopo il David?
"Nulla. Il David è la ciliegina, non la torta. È bello vedere la statuetta in casa. Ma non cambia niente. Non sono i premi che ti fanno lavorare. Semmai è il pubblico che ti aiuta, che ti premia, che ti spinge".

Tre titoli di film da rivedere, da riscoprire, questa estate.
"Io rivedrei sempre Nel nome del padre, con Daniel Day Lewis. Perché è un film che ti lascia risuonare nella testa delle domande, e non ti dà risposte. Poi, Quel pomeriggio di un giorno da cani, e Paisà. Ma... ah, no, dovrebbero essere almeno quattro! Bellissima di Visconti va rivisto per forza. La scena in cui la Magnani sente il regista ridere, al provino di sua figlia, dice tutto. Dice che cosa è l'amore di una madre, che cosa è la dignità, e che immenso potere ha il cinema di raccontare le cose".

Un'ultima riflessione. Tu che sei molto attenta alla dignità delle donne, che cosa pensi delle vicende legate al nostro premier?
"Mi fa tanta tristezza la sua solitudine. La compagnia non ha un valore. Non è qualcosa che puoi comprare. Mi fa tristezza, in generale, chi paga per la compagnia di un altro essere umano, e chi vende questa compagnia. Ma ciò che mi ha scioccato di più è il ruolo della madre di una di queste ragazze. Perché stare in silenzio di fronte a certi racconti, o spingere la propria figlia a fare certe cose, è la cosa che trovo più inquietante, più vergognosa".

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