Di storie sugli alieni ce ne sono tante. Tutte, in un modo o nell'altro, raccontano come sia difficile l'integrazione tra extraterrestri e umani, così diversi e incompatibili tra loro, divisi su tutto eppure uniti, in ugual misura, nell'essere estranei alla convivenza pacifica. Nella rappresentazione cinematografica dello scontro/incontro tra i due mondi in questione c'è spesso l'intenzione di dimostrare come le differenze culturali tra popoli o etnie di origini disparate creino i presupposti per un conflitto senza misericordia. La realtà riempie i telegiornali di aggiornamenti sulle numerose guerre in corso in tutto il mondo; la finzione, nel frattempo, cerca di astrarre quei drammi, azzardando una spiegazione al decadimento violento del nostro modo di vivere, troppo spesso ostile nei confronti dell'Altro. Nel week-end in arrivo esce nelle sale l'ennesimo tentativo di raccontare, tra effetti speciali e riprese vorticose, la battaglia tra alieni cattivi e umani buoni, oltre che irrimediabilmente impreparati. I fratelli Strause, maestri della grafica computerizzata, presentano così Skyline, storia di un'invasione da parte di una schiera di dominanti e distruttori che, tramite l'accecante quanto fascinosa luce azzurra delle navicelle spaziali, rendono impotenti gli abitanti di Los Angeles. Tra i protagonisti, molti esordienti e un volto noto, quello di Donald Faison, narciso chirurgo pazzo di Scrubs. Il film è un'ottima occasione per vederlo in una veste del tutto nuova e sorprendente.

Guai e incomprensioni
I guai seri di una coppia nascono dopo il matrimonio. La regola suggerita dalle due commedie d'oltreoceano previste in sala nel fine settimana viene presentata come una verità universale. In Vi presento i nostri di Paul Weitz, il suocero Robert De Niro, con un ragguardevole temperamento minatorio, rovina la tranquillità del genero Ben Stiller e lo fa per la terza volta, dopo le zuffe memorabili di Ti presento i miei e Mi presenti i tuoi?. Questa volta c'è in ballo la questione della 'figura guida': se nonno Byrnes dovesse mancare all'improvviso, il giovane Greg saprebbe sostituirlo nel ruolo di pater familias? Di contorno nascono le incomprensioni con la moglie, nuovamente invaghita di una vecchia fiamma, e con i piccoli figlioletti. Insomma, moglie e marito sono ancora una volta focolare di conflitti difficilmente sormontabili. Dall'unione di due anime nel sacro vincolo delle nozze hanno origine anche i drammi di Barney Panofsky. La versione di Barney diretto da Richard J. Lewis, tratto dall'omonimo romanzo di Mordecai Richler, è un film sulla figura di un uomo dalle mille imprese che, attraverso la cerimonia di tre matrimoni (i primi due sfortunatissimi, l'ultimo decisamente più appagante), ci racconta l'evoluzione - e maturazione - di una persona incline allo smarrimento, e ci insegna come ciò che inseguiamo con ostinazione, a volte, se il destino ci viene incontro, non è altro che la strada giusta da percorrere. Senza, per forza, sentirsi costretti a dire il fatidico sì all'altare. La felicità è anche altrove.

Yoghi e Bubu a caccia di libertà
Tenetevi stretti il cestino da picnic. Il goloso orso bruno del parco di Jellystone, in arte Yoghi, accompagnato dal fido compagno di avventure Bubu, vorrebbe tanto rubarvi il pranzo. È la sua prerogativa da sempre, fin dagli anni Sessanta, cioè da quando, protagonista del cartone animato creato da Hanna & Barbera, è diventato uno degli orsi più popolari al mondo. Ora si adatta ai tempi e alle nuove tecnologie, approda al 3D, ma rimane lo stesso di prima: nel film L'Orso Yoghi di Eric Brevig continua senza sosta a rubare le torte fumanti dei campeggiatori. In più diventa strenuo difensore della vita all'aria aperta e, quando il sindaco della città decide di chiudere il parco di Jellystone, Yoghi farà di tutto per opporgli resistenza. La battaglia, scandita da scherzi bonari e imprevisti piacevolmente comici, sarà battuta sul terreno dei sentimenti e anche il timido Bubu stavolta metterà da parte la leggendaria riservatezza per aderire a una nobile causa ambientalista, dimostrando coraggio e audacia. Uomini in carne ed ossa si scontrano con due orsi animati, in un semplice ma divertente racconto che viaggia lontano da volgarità e colpi bassi.

Sogno e disperazione, tra aspiranti suicidi e promettenti cinefili
Il vincitore del Marc'Aurelio come miglior film all'ultimo Festival Internazionale di Roma, il drammatico Kill Me Please di Olias Barco, esce in sala per farsi giudicare dal pubblico. Malgrado la distribuzione sia inadeguata alla rilevanza del film, chi desidera confrontarsi con il tema, politicamente scorretto, del suicidio, è invitato a cercare la sala più vicina e a prendere il biglietto. Anarchico, scabroso ed esilarante, il film ci mostra la quotidianità di una clinica specializzata in cure per avviarsi alla morte per scelta, alla fine per volontà. Così una cantante lirica senza più voce, un malato di cancro, tipi depressi e quant'altro, si alternano la scena di uno spettacolo, a momenti inquietante, ma allo stesso modo importante per riflettere su ciò che riguarda tutti. Di tono più leggero è invece il film italiano Un giorno della vita di Giuseppe Papasso, incentrato sul sogno di un bambino degli anni Sessanta che vuole aprire un cinema nel paese d'origine ma deve battersi contro le imposizione del padre, fervente comunista che, ai luccichii della settima arte, preferisce l'idealismo di Marx ed Engels. Ma il giovane non demorde e, assieme agli amici, si ingegna per trovare i soldi necessari ad aprire un personale 'Cinema Paradiso'. Riusciranno i nostri piccoli eroi a realizzare il loro sogno?