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Horror Frames: H.P. Lovecraft al cinema e The Dunwich Horror

Il maestro dell'horror adattato per il cinema.
di Rudy Salvagnini

Un orrore cosmico

martedì 21 settembre 2010 - News

Un orrore cosmico
H oward Phillips Lovecraft (1890-1937), il maestro di Providence, è considerato uno dei massimi esponenti dell'horror letterario del secolo scorso, ma per lungo tempo al cinema non ha goduto di altrettanta considerazione. La sua visione di un orrore cosmico e la sua convinzione che, se veramente ci sono degli dei, non è affatto detto che siano buoni e dispensatori di giustizia, sembravano da un lato difficili da rappresentare e dall'altro un po' troppo pessimistiche per un pubblico che preferiva spaventarsi in modo innocuo. Durante la sua vita breve e tormentata il vero successo lo ha eluso, ma col tempo è diventato uno scrittore influente e imitato. Anche nel cinema traspariva qualcosa di questa sua influenza in film come lo spettrale La città dei morti, ma mancavano adattatori diretti della sua opera. Il primo a provarci seriamente è stato Roger Corman, già responsabile di aver definitivamente sdoganato Edgar Allan Poe al cinema. E difatti La città dei mostri, benché tratto espressamente da un racconto di Lovecraft (Il caso di Charles Dexter Ward), è attribuito in qualche modo proprio a Poe grazie al fatto che come titolo originale del film viene usato quello di una sua poesia, The Haunted Palace. Interpretato con la consueta bravura da Vincent Price con Lon Chaney jr di supporto, La città dei mostri è un film interessante che riesce a catturare, soprattutto in un paio di sequenze, qualcosa delle atmosfere e dello spirito lovecraftiano, ma non spinge il pedale sino in fondo e nella sostanza non è troppo dissimile da altri "gotici" del periodo. Il solco era comunque tracciato e sulla scia la American International Pictures, produttrice del film, realizza altri horror lovecraftiani diretti da Daniel Haller, scenografo prediletto di Corman: La morte dall'occhio di cristallo, tratto da uno dei più famosi racconti di Lovecraft (Il colore venuto dallo spazio) e arricchito dalla presenza carismatica di Boris Karloff, e Le vergini di Dunwich, bizzarro horror psichedelico figlio caratteristico della sua epoca. In entrambi i casi, Lovecraft resta sullo sfondo, una presenza irrisolta.
Negli anni '80 è stato Stuart Gordon con Re-Animator a riportare Lovecraft sullo schermo catturandone in parte alcuni aspetti e unendoli a una sfrontatezza registica e contenutistica notevoli, con risultati inaspettati (e non riconfermati nei seguiti della serie, non a caso non diretti da lui). Ma ormai, benché sporadica, la presenza di HPL nelle mappe del cinema horror era tracciata e alcuni film ne facevano il punto di forza del loro marketing, come l'antologico Necronomicon, diretto da Christophe Gans, Shusuke Kaneko e da quel Brian Yuzna, già produttore di Re-Animator e regista in proprio dalla carriera fitta di titoli e diseguale quanto pochi altri. E diseguale è anche Necronomicon, come è forse inevitabile per i film a episodi, pur se si avverte il desiderio di avvicinarsi in modo rispettoso all'opera dello scrittore.
Un simile desiderio di ortodossia lovecraftiana almeno esteriore si avverte anche in uno degli esempi più recenti di riduzioni lovecraftiane, il televisivo The Dunwich Horror di Leigh Scott che offre una nuova versione del racconto già portato sullo schermo con Le vergini di Dunwich.
Louisiana. Nella casa della famiglia Whateley, Lavina dà alla luce un neonato e anche un mostro che lascia inorriditi medico e ostetrica. Dieci anni dopo, il dottor Henry Armitage, specialista dell'occulto, scopre la presenza di un antico demone: scopre anche che è in atto un tentativo per riaprire il portale che consentirebbe ai demoni malvagi di un tempo immemorabile di ritornare a prendere possesso della Terra. Armitage e la sua assistente professoressa Fay Morgan si rendono conto che tutte le copie esistenti (in traduzione) del Necronomicon, misterioso libro dell'occulto, mancano della pagina 751, quella che contiene l'incantesimo per aprire e chiudere la porta dei demoni. Vedendo che la situazione è pericolosa, Armitage chiede l'aiuto di un altro studioso, lo scettico professor Walter Rice che dovrebbe aiutarlo a ritrovare la pagina mancante prima che sia troppo tardi. Ma quella pagina è ricercata anche da Wilbur Whateley, il figlio di Lavina che ha dieci anni ma dimostra diversi decenni di più e invecchia velocemente. Lo scopo di Wilbur è riaprire le porte ai demoni di un passato lontanissimo, dannando per sempre la Terra.
Rispetto a Le vergini di Dunwich, questo film è più vicino al racconto di Lovecraft, ma ciò non lo rende un film migliore. Per dare sostanza alla vicenda, Scott punta su qualche momento morboso e su una generale atmosfera macabra che sarebbe adatta a rievocare le tematiche lovecraftiane se non fosse accompagnata da una notevole carenza stilistica che si traduce in parecchie sequenze dirette piattamente, con una qualità visiva da sceneggiato televisivo. In altre, le cose sono migliori e qualche suggestione emerge, lasciando trapelare il pessimismo cosmico - qui un po' fumettistico e semplificato - di Lovecraft, con la visione di un mondo passato nel quale il Male con la "m" maiuscola governava il mondo. Non che adesso - anche senza antichi dei perversi - le cose siano rose e fiori, ma pare che potrebbe essere peggio con loro. La narrazione è un po' affastellata e confusa: riesce a trovare un'accettabile dinamica solo nella parte finale, se non altro movimentata e arricchita da qualche azzeccato momento di orrore metafisico.
Specializzato in piccolissimi horror a basso budget, Leigh Scott è volenteroso, ma poco più. Il cast lo segue con una discreta professionalità. Tra gli attori si nota Jeffrey Combs, attore cult già attivo in campo lovecraftiano con la serie di Re-Animator, qui in un ruolo piuttosto ingrato. La curiosità maggiore è però data dalla presenza di Dean Stockwell, già protagonista negativo de Le vergini di Dunwich e qui abile e interessante come sempre nel ruolo dello studioso che cerca di sconfiggere i demoni. Attore dal passato prestigioso - ha cominciato da bambino facendosi subito notare in film come Il ragazzo dai capelli verdi di Losey - e dalla vita turbolenta, Stockwell ha legato la sua carriera a ruoli spesso bizzarri ed eccessivi. Tra quelli più noti al grande pubblico, il gangster soave di Velluto blu di Lynch e il malavitoso di Una vedova allegra... ma non troppo di Jonathan Demme. Ora il grande cinema lo ha un po' messo da parte, ma anche in film minori come questo dimostra una classe recitativa degna di miglior palcoscenico.
Per un adattamento lovecraftiano definitivo bisogna ancora attendere.

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