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Horror Frames: Apparition - Amare oltre la morte

Fantasmi giapponesi rivisitati.
di Rudy Salvagnini

L'horror di Hideo Nakahata

martedì 12 gennaio 2010 - News

L'horror di Hideo Nakahata
Quando oggi si pensa ai film horror giapponesi sui fantasmi, si fa riferimento a pellicole come Ring e Ju-On: The Grudge con la rispettiva progenie di sequel, remake americani e sequel di remake americani. Sono film che hanno ridefinito, almeno in parte, questo sottogenere riportando gli spettri al centro dell'attenzione in una versione del tutto seria e drammatica, puntando sulla qualità dell'intreccio e della messa in scena invece che semplicemente sugli effetti speciali.
Ma nell'horror giapponese i fantasmi non sono cominciati con i film di Hideo Nakata e Takashi Shimizu. C'è una tradizione "spettrale", fatta generalmente di film in costume, ambientati in varie epoche storiche e spesso contrassegnati da notevole eleganza e dalla capacità di indurre inquietudine. Il più famoso è forse Kwaidan (1964), il capolavoro di Masaki Kobayashi, vincitore del Premio speciale della giuria al festival di Cannes nel 1965. Strutturato in quattro episodi tratti dai racconti di Lafcadio Hearn, ha la qualità dei classici e la sottile minacciosità dei migliori horror. Un altro esempio mirabile (e ai limiti del cinema di fantasmi) è Jigoku (1960) di Nobuo Nakagawa, un delirante viaggio negli inferi del senso di colpa, pervaso da una moralità austera che non sembra lasciare scampo ai reietti. Suggestivo e strabiliante dal punto di vista visivo, Jigoku è stato oggetto anche di un più modesto semi-remake nel 1999 a opera dell'altrove grandissimo Teruo Ishii.
È interessante vedere come a questa tradizione si sia rifatto proprio Hideo Nakata, il regista che con Ring ha portato i fantasmi giapponesi nella realtà di oggi, rivitalizzandone la figura e massimizzandone l'impatto drammatico. Lo ha fatto con Apparition - Amare oltre la morte, un film in costume che non ha riscosso molto successo, ma che presenta più di qualche elemento di interesse.
Un samurai squattrinato uccide un agopuntore che era venuto a reclamare il pagamento di un debito e poi ne occulta il cadavere. Venticinque anni dopo, il povero figlio del samurai, Shinkichi (Kikunosuke Onoe), si innamora di Toyoshiga (Hitomi Kuroki), la benestante figlia dell'agopuntore, ancora risentita per la scomparsa del padre che lei e la sorella ritengono se ne sia andato volontariamente. Shinkichi e Toyoshiga vivono more uxorio, ma la donna è gelosissima e possessiva. Shinkichi decide di lasciarla per una sua studentessa e l'amareggiata Toyoshiga muore promettendogli che tormenterà ogni donna che lui sposerà. E, come si sa, ogni promessa è debito.

Nakata riprende i classici
Dopo aver ridefinito l'horror moderno giapponese, Nakata compie quindi una rispettosa e forse inaspettata incursione nel classicissimo campo del racconto di fantasmi in costume. L'operazione è condotta con gusto per la composizione e per la ricreazione di atmosfere torbidamente eleganti, senza nessuna intenzione rivoluzionaria. Tutto risponde ai dettami della tradizione e la storia - da Sanyutei Encho, scrittore ottocentesco - scorre via senza sussulti, a parte un paio di coup de frisson ben giocati. I personaggi sono tratteggiati con abilità su modelli già visti: la buona recitazione li rende comunque credibili e degni di attenzione, dal protagonista - più opportunista che cattivo - alla sua amante non più giovane e perciò sospettosa e trepidante. Nell'insieme, è come prendere un treno alla stazione: si sa perfettamente da dove si parte e dove si arriva e il tragitto può essere più o meno piacevole, ma non sorprendente. Ricca la messa in scena e notevole la cura formale del regista, anche se più di qualche volta - benché Nakata lasci giustamente esplodere il melodramma quando è possibile - la prevedibilità e la compostezza tendono a sprigionare un nobile tedio. Il senso del destino e del riflettersi implacabile dei malanni dei padri sui figli emerge comunque con forza. Il titolo originale del film - Kaidan - sembra richiamare quello (uguale, in giapponese) di Kwaidan. Invece, non c'è nulla in comune con il glorioso film di Kobayashi, anche nella trama. Kaidan, in giapponese, vuol dire infatti semplicemente "racconto di fantasmi".
Apparition è invece una sorta di remake di un altro horror giapponese, Kaidan kasane gafuchi (1957), diretto proprio da Nobuo Nakagawa, regista di Jigoku e di altri capolavori del terrore, un autore assolutamente da riscoprire. Originariamente, il film di Nakata era stato pensato come parte di una serie denominata J-Horror Theater, una joint-venture nippo-americana di cui i primi esempi sono stati Infection di Masayuki Ochiai e Premonition di Norio Tsuruta. Il tiepido riscontro dei primi film ha fatto abbandonare il riferimento alla serie, comunque fatta di pellicole assolutamente indipendenti tra loro.
Apparition, tra queste, è l'unica che si gira a guardare il passato, le radici da cui proviene l'horror giapponese odierno, e lo fa con ammirazione, rispetto e dedizione.

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