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Dvd Et Import: da manga in film (e ritorno)

Le contraddizioni del Sol Levante messe a nudo.
di Emanuele Sacchi

Fotografia della società

martedì 6 ottobre 2009 - News

Fotografia della società
Film tratti da manga. Ormai una consuetudine in Giappone, un fenomeno inarrestabile, qualcosa di vagamente paragonabile a quel che avviene negli Usa con i fumetti, specie quelli di supereroi, ma con non poche (e sostanziali) differenze. Se lì il discorso è soprattutto legato a un mutamento del linguaggio filmico e all'evoluzione tecnologica dello stesso, che consente di vedere quel che prima era solo possibile immaginare, il manga giapponese, nella sua multiforme varietà di proposte, è ormai uno spaccato fedele della società giapponese. Dalla pochade al melò, dall'ultraviolenza alla fantascienza, tutto è manga nel Sol Levante. E poi cinema. Accanto alle meraviglie di Miyazaki, di Satoshi Kon, Mamoru Oshii e della Ghibli nel mondo degli anime, vive tutto un sottobosco manga che punta a fotografare la società, o meglio una sua versione esasperata ed eccessiva, spesso con colori pop, per svelare qualcosa che non potrebbe mai essere rivelato con un ritratto neorealista.

20th Century Boys
Ecco quindi la famiglia distrutta di Funuke, Show Me Some Love You Loser! o l'elegia delle perversioni sessuali di Love Exposure - gioiello di Sono Sion e uno dei film dell'anno, che ha sconvolto il Festival di Berlino quest'anno – per arrivare al melò teen di Nana o ancora a Battle Royale e la sua "modesta proposta" per risolvere il conflitto generazionale in corso.
20th Century Boys è un po' tutto questo, o perlomeno così appare, in attesa che la trilogia si dipani e palesi i suoi intenti. Fermandosi al primo capitolo, il focus pare concentrato sui sogni infranti dell'infanzia: naturalmente infanzia post-atomica Made In Japan, ovvero dimenticate Pascoli e il fanciullino, e accogliete a braccia aperte quisquilie apocalittiche come virus letali o il "solito" robot che devasta la città. (Forse quello del mostro-robot è il topos per antonomasia del fantastico nipponico, declinato in varie forme da Inoshiro Honda in giù, ma merita trattazione a parte). E anche qui, come in Love Exposure, la sinistra presenza del fanatismo religioso, una minaccia che – almeno cinematograficamente parlando – in Oriente (per la Corea viene in mente Secret Sunshine su tutti) sta cominciando a far capolino ovunque. Sette mansoniane di folli con tendenze suicide, ultra-bigotti che celano le peggiori nefandezze, un'immagine in genere piuttosto inquietante dell'oppio dei popoli. Chi ritiene che un manga sia una lettura di intrattenimento spensierato è decisamente servito. E, con buona pace di Frank Miller, Snyder e Rodriguez, il gancio tra settima e nona arte sta tutto qui. Da lassù Marc Bolan pare che approvi.

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