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Prossimamente al cinema: Che fai, rubi?

L'attesa nelle sale per le revisioni d'autore, i film del passato e tecniche (commerciali) già note.
di Alberto Beltrame

Il bravo artista copia, il grande artista ruba
Werner Herzog (Werner Stipetic) (81 anni) 5 settembre 1942, Monaco di Baviera (Germania) - Vergine. Regista del film Il cattivo tenente - Ultima chiamata New Orleans.

mercoledì 26 agosto 2009 - News

Il bravo artista copia, il grande artista ruba
L'eleganza di Werner Herzog. L'apolide cantore di paesaggi e presagi, il genio che si ribella alla natura. Alla natura delle cose, anche. Si, perché fare un remake di un film di Abel Ferrara è contro ogni principio. Logica, etica, furbizia. Herzog sfida Ferrara. E per il secondo è un insulto. "Mai toccare l'opera di Dio", dice lui. "Lo faccio perché sono un bambino che vuole giocare inventando", la risposta. Per Ferrara se qualcuno stupra l'arte (la sua) riprendendo e ricreando (il remake) vuol dire che non ha più idee. Visto che parliamo del folle imperatore tedesco, la cosa è improbabile. E allora sale la curiosità. Perché mai ha voluto fare un remake di un film come Il cattivo tenente? Forse perché, vedendo la sua filmografia, lo considera tanto meritevole quanto il Nosferatu di Murnau? In ogni caso, è uno tra gli eventi cinematografici più importanti dell'anno.
Come saprà Herzog trattare l'antieroe per eccellenza del cinema moderno? Il bestemmiatore corrotto e la raffigurazione più estrema dell'umanità vigliacca. Come, ci si chiede, sarà rappresentato il mondo freddo, ostile e violento di Ferrara da quel poetico romanziere per immagini che è Herzog. E, soprattutto, come Nicolas Cage saprà reggere il confronto con Harvey Keitel?
Cinema che rimbomba. Cinema come bomba che rimbalza, leggera, tra epoche. Ripetizioni, iterazioni, pensieri costanti e dubbi eterni. Sottile il rumore di immagini identiche, che sempre ritorneranno circolari alla loro forza d'innovazione.
New York Stories
Il ritorno di Woody Allen in terra madre. La New York sua musa più bella, dopo le avventure londinesi e spagnoleggianti. Basta che funzioni, diciamo noi, perchè è passato un po' di tempo. Basta che funzioni, non è più l'Allen dei tempi migliori. Basta che funzioni, in ogni caso, è il suo film del 2009. Whatever Works, in originale, che ancora una volta dimostra come l'occhialuto mago dell'ironia sia instancabile. Sempre pronto a inventarsi una nuova storia, un nuovo protagonista, una nuova ambientazione. Ma è solo una vecchia abitudine, lo sappiamo.
Un anziano scienziato, disperato, prova il suicidio. Non gli riesce. Incontra una ragazza e si innamora. Poi il matrimonio. Uno scienziato di grandissimo livello che si innamora di una ragazzina ignorante e non molto sveglia. I paradossi di Woody. I suoi paradisi d'artificio genuino e sorprendente. Dolori, assopiti da una risata, che non basta. Non la fa bastare, si soffre sempre nei suoi film. Si rimane sospesi, pensierosi. Risate, nell'infelicità. Risate, quando altra soluzione non esiste. Un'altra storia, che gira ancora una volta attorno al tema costante dell'amore. Ossessione, condanna, unica speranza. Anything else, quindi. Un tema che Allen tratta in ogni film. Sempre e comunque. E noi possiamo solo ribadire il nostro presupposto iniziale: basta che funzioni!
Un bel disegno di vent'anni fa
Ancora un ritorno. Non un remake, ma la fedele riproduzione dell'atto. No, non è Gus Van Sant e nemmeno Michael Haneke. Semplicemente viene riproiettato a distanza d'anni un film del passato. La dolce mano ombreggiante di Miyazaki, la sua tenera poesia disegnata. Il mio vicino Totoro, la vicinanza distante di un pezzo di storia dell'animazione mondiale. Di nuovo negli schermi, con qualche aggiustamento, piccolo, e la voglia di essere ancora occasione.
I Totoro sono creature leggendarie che esistono da prima dell'avvento dell'uomo. Prima del dominio umano, e adesso costretti a nascondersi nelle foreste. Palle di pelo, in fondo sono questo. Come i bambini sono sempre bambini. Due bimbe divengono amiche di queste creature, di questa magia. E non c'è limite alla magia per una mente fantasticamente predisposta. Miyazaki crea sorprendenti iperboli illuminate. Goliardiche atmosfere visionarie. Pura e splendida immaginazione di un maestro.
Di nuovo nei cinema. Per rivedere o per scoprire. Per emozionarsi con qualcosa (l'animazione) che ha sempre più bisogno della tecnologia per esistere. Da qui la prova che, sotto sotto, è sempre il disegno la base di tutto. Disegnare come rumore, un eco, che risplende anche dove non c'era molto di più di un foglio e di una matita. Dove, l'incantato desiderio di esprimere se stessi è l'essenza primaria dell'arte.
Del pelo sotto lo smoking
Squadra speciale e specialmente pelosa. Gran successo in America, i botteghini italiani sono pronti per affrontare anche questa avventura. G-force - Superspie in missione è animazione a tre dimensioni, stravagante fantasia senza dimensione precisa. Animaletti pelosi, ma anche piccoli e indifesi. Eppure efficacissimi. Squadra speciale, si, per speciali e meravigliosamente improbabili vicende.
Un team composto da tre porcellini d'india, una talpa e una mosca. Dei veri agenti segreti, in missione per il governo degli Stati Uniti. Finiranno anche in un negozio di animali, ma il loro obiettivo sarà sempre e comunque quello di salvare il mondo. Un mondo che attacca i più deboli, che li rinchiude. Un mondo, anche questo, fatto di magia.
La squadra perfetta per le menti dei bambini. Sicuramente la più amata. L'animazione senza pretese, questa, che comunque si fa guardare con molto piacere. Criceti con lo smoking e porcellini d'india con gli occhiali da sole. Ogni essere vivente ha il diritto di poter esser ciò che vuole. Ciò che la nostra mente vuole che sia. E questo vale anche per la loro voce. Tecnica già usata, spesso abusata, di far parlare i personaggi con la voce di attori famosi. Nicolas Cage, Penelope Cruz, Sam Rockwell. Ma quello che più ci piacerà sarà la piccola creatura d'investigazione che parla come Steve Buscemi. Parole, parole, parole. Per immagini, in missione animata, con il fascino del gioco.
Venezia appoggiata sul mare
In terra siciliana. Giuseppe Tornatore, autore di sinfonie su oceani, racconta la città siciliana di Bagheria (dall'antico nome fenicio di Baarìa). Un secolo nell'Italia scossa da guerre mondiali, fasci e malgoverni.
Il film che aprirà la 66ª edizione della Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia. Baarìa - La porta del vento, scritto e diretto da Tornatore, sarà in concorso. Candidato tra i candidati per la vittoria. Raccontando di povertà, generazioni di sofferenze e tradizioni. Amori, sogni, disillusioni. Popoli mangiati, inghiottiti e sputati da una storia che non guarda in faccia gli uomini. Guerre che annientano, politica che corrode. E allora ci si rifugia, da pecorai, nella letteratura. Per dimenticare la fame, la lettura che assopisce le delusioni di vite estreme. Malèna che vorrebbe una vita comune, non piangere più. L'uomo delle stelle che promette il mondo che desidera. Una pura formalità, le allucinazioni e gli incubi di chi riesce a malapena a sopravvivere.
Venezia parte, dopo vent'anni, con un film italiano. Apre la Mostra, riapre le speranze di un cinema in difficoltà. E non è come qualcuno vuole farci credere. Una rinascita è ancora dura, non stanno tutti bene... Ma qualche lampo su un'acqua troppo scura può solo che farci, con umiltà, ancora una volta felici di essere figli di un cinema importante.
Mercanti nel tempio dell'immagine
Quartiere riservato. Ghetto obbligato. Nel distretto numero 9 i "non umani" sono costretti a viverci. Nessuna via di fuga, gli alieni sono sempre un pericolo da scongiurare. District 9, ovvero lo sfruttamento del potere (mediatico?) degli extraterrestri. Apocalisse ideale della perfezione. Massima vetta della tecnologia. District 9, ovvero uno tra blockbuster più attesi della stagione. Sempre in attesa dell'Avatar di James Cameron.
Intelligenze artificiali di tutto il mondo unitevi. C'è un fantasma che si aggira per il mondo, è questo non è più il comunismo. Almeno che, e dagli americani ce lo si può aspettare, la forma aliena non sia altro che una metafora politica. No, quei tempi sono passati per sempre. Adesso la minaccia, semmai, è proprio nel cinema in sé. In quello che (non) dice. In quello che (non) è capace di dire. Budget mostruoso, non umano si direbbe, per un cinema di sensazione senza tregua. E gli alieni cercano di scappare, possiamo capirli.
Nell'immagine prima di tutto si concentra l'attenzione per un cinema fatto d'effetti speciali e storie fantastiche. Peter Jackson (produttore) non è di certo l'ultimo arrivato. Marketing, marketing, marketing. Il cinema, sempre e comunque, dovrà essere anche questo.

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