Un altro mitico prodotto dell'Actor's studio.
di Stefano Cocci
Record di candidature Oscar che canta e balla gli ABBA
A quasi sessant'anni, canta e balla come una indiavolata le canzoni degli ABBA, scritte e interpretate nei mitici anni Settanta, quando Meryl Streep, strepitosa protagonista del musical Mamma mia!, stava affinando il metodo dell'Actor's Studio. Sarà per questo motivo che nel film di Phyllida Lloyd sembra avere l'argento vivo addosso, come quando battagliava con Roseanne Barr in She-devil, una vera diavolessa che le rovinava la vita. Oggi, Meryl Streep detiene il record di nomination all'Oscar (ben quattordici con due vittorie) e, se nella seconda metà degli anni Novanta la sua stella iniziò ad oscurarsi, è riuscita a rilanciarsi ulteriormente negli ultimi anni, partecipando a piccoli gioielli come The Hours e Il diavolo veste Prada.
Oggi Meryl Streep può essere considerata come l'attrice più importante e significativa della storia recente del cinema: non bellissima ma di un talento cristallino che, negli anni, è riuscita sempre di più ad affinare e valorizzare. Ed ora che canta e balla, chi la ferma più?
Il diavolo veste Prada
Meryl è stata molto vicina al diavolo. Al tempo di She-Devil fronteggiava una Roseanne Barr che le rovinava la vita; poi, al tempo de La morte ti fa bella sembrò stringere un patto con il maligno per mantenersi giovane e affascinante e battere l'arci-rivale Goldie Hawn. Nel film di David Frankel è l'incarnazione di una crudeltà più umana, quella che ci spinge a primeggiare sugli altri, ad eccellere, a scapito dei rapporti umani, della nostra stessa famiglia e di cercare di stabilire un minimo contatto con chi ci sta intorno. Perché stabilire quel contatto, vorrebbe dire porsi sullo stesso livello, e una regina come Miranda Priestley non lo può accettare. Il personaggio è pura essenza di cattiveria e ogni capoufficio crudele e senz'anima deve fare i conti con Il diavolo veste Prada e Meryl Streep.
The Manchurian Candidate
Un altro tipo di crudeltà e, ancora una volta, Meryl la divina si ritrova a fare la cattiva. È una madre, come le è capitato più volte nella sua carriera, una donna disposta a tutto per garantire a suo figlio un destino da vicepresidente degli Stati Uniti e, a lei, di dominare il mondo. Il film è un rifacimento di uno del 1962 che si trovò a gareggiare con la realtà quando fu ucciso l'allora presidente degli Stati Uniti John Fitzgerald Kennedy. Allora c'era la Guerra in Corea ad alimentare gli incubi complottisti degli americani, oggi è l'Iraq. Meryl non si tira indietro in un film che, dietro la parvenza di intrattenimento, pone dei quesiti sull'oggi a stelle e strisce.
Prime
Meryl ci aveva abituato ai ruoli drammatici. Tra i suoi premi e le sue nomination o semplicemente tra le decine di film che hanno, in un modo o nell'altro, appassionato il pubblico, raramente l'attrice americana si era dedicata ad un argomento tanto leggero. Cosa farebbe una psicologa che scoprisse che una propria paziente frequenta suo figlio, soprattutto sapendo che tra i due c'è un'importante differenza d'età? Il papà del rampollo in questione sicuramente correrebbe a stringergli la mano nel momento in cui scoprisse che la pulzella ancorché vicina agli "anta", altri non è che la stupenda Uma Thurman. Ma, si sa, le mamme hanno altri grilli per la testa e Meryl Streep in Prime non fa eccezione e cerca in tutti i modi di ostacolare il rapporto.
The Hours
Era il 2002 e tanto brava non la si ricordava da anni. Al fianco di Nicole Kidman - che per il suo ritratto di Virginia Woolf con naso posticcio vinse l'Oscar – e una sempre brava Julianne Moore, Meryl Streep è una Signora Dalloway/Clarissa Vaughn che dimostra come, in mezzo a colleghe più giovani, non sfgura affatto, anzi, ha ancora tanto da dire. Il piccolo gioiello di Stephen Daldry è uno dei pochi film "al femminile" degli ultimi anni, con tre attrici tutte da Oscar appartenenti a tre generazioni differenti ma indubbiamente tutte eccezionali. La recitazione nervosa e commossa della Streep è da ricordare e da porre tra le sue interpretazioni più belle e se non ci fosse stata la Kidman a rubare la scena, probabilmente avrebbe raccolto qualche premio in più.
Il cacciatore
È la sua nomination all'Oscar, in un film passato alla storia non solo per la primordiale crudezza dei racconti del Vietnam, ma l'ampia improvvisazione a cui si fece ricorso sul set. Alcuni episodi sono memorabili come lo sputo di Christopher Walken a De Niro o la scena del recupero in elicottero. La stessa Streep improvvisò gran parte delle sue battute mentre De Niro, per immedesimarsi nella vita del suo personaggio, lavorò in una acciaieria per alcune settimane senza che nessuno lo riconoscesse. Oltretutto, la vita reale si intromise pesantemente nella produzione del film. Proprio Meryl Streep ebbe l'occasione di lavorare con il suo compagno dell'epoca, l'attore John Cazale, che morì alcuni mesi dopo per cancro alle ossa e non ebbe l'opportunità di vedere il film in sala. Tanta commozione è chiaramente percepibile nei fotogrammi che Cimino ci ha regalato.