Advertisement
Speed Racer, macchine vere su piste virtuali

Tra digitale e reale i Wachowsky cercano nuove dimensioni per gli effetti al computer.
di Gabriele Niola

Più di un unico lungo effetto speciale

venerdì 9 maggio 2008 - Making Of

Più di un unico lungo effetto speciale
Coloratissimo oltre ogni dire, caramelloso, forsennato, patinato e pieno di ogni tipo di trovata digitale Speed Racer segna il ritorno dei fratelli Wachowsky al cinema che amano fare: quello che mischia tecniche reali e digitali per dare una nuova forma alle scene d'azione. Ispirato alla serie animata giapponese anni '60 diventata in breve un vero cult in America, Speed Racer è quanto più fedele è possibile all'estetica e allo spirito del cartone, anzi per molti versi è anche più cartoonesco.
Quello che i fratelli Wachowsky fanno, e che hanno sempre fatto, non è tanto spingere in avanti la tecnologia (come fanno gli studi di effetti speciali tipo l'Industrial Light And Magic) ma pensare nuovi modi di usare quelle tecnologie per la messa in scena, e Speed Racer da questo punto di vista mischia moltissime cose: dai colori modificati al computer di Il Favoloso Mondo di Amelie, al mondo candito di molto Tim Burton, alle trovate estetiche di Kill Bill Vol. 1, al montaggio di Hulk. E Speed Racer in questo senso trova la sua piena realizzazione nelle scene di corsa.
Si potrebbe dire senza timore di errore che il film esiste solo per mettere insieme uno sfondo di emozioni e valori per le gare automobilistiche rappresentate, tanto che molte di queste erano già pronte quando gli attori hanno firmato il contratto come racconta Emile Hirsch: "Assistere alla previsualizzazione delle scene è stato umiliante. Era sorprendente vedere quanto lavoro era già stato fatto prima che noi cominciassimo il nostro".
Ma oltre alle gare c'è ancora tanto dei fratelli Wachowsky, dalle transizioni con i volti dei personaggi, all'uso esclusivo di greenscreen per gli sfondi, alle automobili realmente costruite ma inserite in sfondi digitali fino al Car-Fu, l'arte del combattimento tra automobili.

La vera fatica del Car-Fu
Nonostante quello che può sembrare a prima vista tutte le principali automobili del film esistono veramente, nel senso che sono state effettivamente costruite. Certo non erano macchine funzionanti, non avevano un motore, erano solo un involucro da inserire assieme all'attore in un ambiente virtuale ma lo stesso sono state usate per tantissime scene. Nelle corse di Speed Racer infatti, nonostante non sembri, le macchine sono sempre ferme, è tutto lo sfondo intorno a muoversi per dare l'illusione del movimento.
Per rendere più realistica quest'illusione ogni vettura era dotata di uno speciale sistema di pompe idrauliche manovrate dai tecnici che la muovevano e creavano una resistenza per gli attori che le dovevano pilotare, in modo da rendere i movimenti e il senso di fatica alla guida. Si trattava di una vera piattaforma completamente controllabile in grado di spostare la macchina in tutte le dimensioni possibili, per dare all'attore il senso vero di ciò che doveva succedere (c'era anche un vento simulato con il ventilatore).
Certo poi entra in gioco il digitale. Tutta la parte che è stata ribattezzata di Car-Fu, ovvero di combattimento tra macchine, è frutto di elaborazioni digitali. Le scene in questione sono state girate davanti a un greenscreen di 60 metri per 12, mischiando la passione per il combattimento orientale dei fratelli Wachowsky (già mostrata e rielaborata in Matrix) con il mondo dei rally e delle corse automobilistiche. La base del sistema idraulico era poi controllata da un software che armonizzava i movimenti con le scene previsualizzate, cioè gli sfondi in movimento.
"La sospensione idraulica è molto potente e richiede molta forza" ha dichiarato Matthew Fox e a lui ha fatto eco Emile Hirsch: "Vieni sballottato in tutte le direzioni e non devi fingere nulla perchè tutta la pressione è reale".

La realtà virtuale applicata al cinema
Altro obiettivo fondamentale dei fratelli Wachowsky era dare al film un respiro e un tocco che fosse davvero cartoonesco e avveniristico al tempo stesso. Per arrivare a questa sintesi si sono affidati ad alcuni tra i più importanti designer al mondo, incaricati di disegnare le piste (cosa fondamentale) e i diversi set.
Nel film infatti praticamente non esistono scenografie, quasi il 100% delle scene sono recitate davanti ad un greenscreen, dunque erano pensate per risultate fortemente irreali (poichè il greenscreen non ha la profondità del reale e questo si nota molto in tutti i primi piani di cui il film è zeppo) e per questo era necessario che gli sfondi rappresentati fossero più che intriganti.
Come sempre però si è partiti dalla realtà, dalle vere immagini di diverse location in giro per il mondo: Marocco, Austria, Turchia, Italia e la Death Valley. Tutti luoghi ripresi con attrezzatura molto particolare, macchine digitali ad altissima risoluzione in grado di fare diverse riprese pronte poi per essere incollate fino a formare un unico ambiente virtuale.
La tecnologia si chiama QuickTime Virtual Reality (QTVR) ed è uno strumento della realtà virtuale da decenni; ora però i fratelli Wachowsky l'hanno usata per registrare le vere proporzioni, immagini e sembianze di diversi luoghi e poi trasformarle in un ambiente virtuale nel quale muovere i personaggi, una tecnica che ribattezzata "bubble photography". Gli sfondi sostituiti al greenscreen dunque non sempre sono frutto di disegni al computer, ma spesso sono rielaborazioni digitali di luoghi realmente filmati.
Infine per dare quanta più profondità è possibile alle scene in ambienti virtuali queste sono state composte attraverso diversi piani, ognuno creato separatamente. In questo modo non c'è solo il protagonista e lo sfondo, ma diversi livelli di sfondo con profondità crescente.

L'obiettivo dei Wachowsky: unire Occidente e Oriente
Ad unire tutte le trovate cinetecnologiche infine è arrivata l'idea di regia che i fratelli Wachowsky hanno deciso di applicare a questo film, ovvero un racconto continuamente intervallato da transizioni a scorrimento effettuate utilizzando i volti o le figure dei protagonisti.
Nel tentativo di fare un ennesimo richiamo all'estetica e al modo di raccontare dei fumetti e dei cartoni nipponici le scene si passano il testimone con uno scorrimento di volti e personaggi che mentre copre un'immagine scopre la prima della scena seguente. Una tecnica che ricorda non poco quella utilizzata da Ang Lee per il suo Hulk.
Ma ancora di più il modo in cui ogni scena d'azione viene mostrata, alternando la vera azione ai dialoghi, ai volti degli spettatori e spesso ai ricordi, è il vero richiamo all'animazione seriale giapponese che ha fatto dei momenti di stasi e di attesa la sua essenza.
Facendo infatti un discorso più complesso sul modo di mettere in scena del film, si nota come i diversi stratagemmi visuali più immediati sono solo la punta di un iceberg che ha alla sua base tutto un impianto narrativo che mischia Occidente e Oriente. Se infatti le dinamiche della trama sono assolutamente americane (il mito del successo e della seconda occasione, il retaggio familiare e il rapporto di paternità infranta) il modo di raccontare è prettamente orientale.
Il modo in cui i personaggi si dividono i ruoli, il coinvolgimento dei bambini e delle donne e le strategie messe in piedi per raggiungere l'obiettivo finale (la vittoria della corsa) appartengono infatti più al mondo dell'animazione giapponese che a quella americana, più individualista e fondata sul culto del personaggio.

Gallery


{{PaginaCaricata()}}

Home | Cinema | Database | Film | Calendario Uscite | MYMOVIESLIVE | Dvd | Tv | Box Office | Prossimamente | Trailer | Colonne sonore | MYmovies Club
Copyright© 2000 - 2024 MYmovies.it® - Mo-Net s.r.l. Tutti i diritti riservati. È vietata la riproduzione anche parziale. P.IVA: 05056400483
Licenza Siae n. 2792/I/2742 - Credits | Contatti | Normativa sulla privacy | Termini e condizioni d'uso | Accedi | Registrati