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Che il candidato (italiano) non tocchi il cinema

Il bel volto di George Clooney non ha aiutato Veltroni.
di Pino Farinotti

Quando il cinema rappresenta la politica

lunedì 21 aprile 2008 - Focus

Quando il cinema rappresenta la politica
Durante l'ultimo comizio di Walter Veltroni a Roma, erano presenti sul palco: Virzì, Ferilli, Fassari, Rosi, Ovadia, Isabella Ferrari, Scola, Melato, Morante, Ozpetek, Buy, Orlando, Guerritore, Archibugi, le sorelle Comencini. Benigni li aveva preceduti. Qualche giorno prima Veltroni si era fatto fotografare con George Clooney. Cercare sostegno nel cinema da parte di un candidato può essere pericoloso. Occorre fare valutazioni complesse e senza punti di riferimento, perché gli elementi dell'equazione sono tutte incognite, sono labili, veloci, appaiono e scompaiono come ombre. Concetti che possono essere tutti estesi all'attore, che è per definizione "ombra, veloce, labile", e che tale appare allo spettatore, che come tale può anche divertirsi, ma se lo spettatore diventa elettore, la regola cambia.
Nel mondo anglosassone la regola è diversa. Diciamo, in termini molto, molto semplificati, che noi siamo un po' meno ingenui, diffidiamo di tutto o quasi, non "crediamo" mai del tutto. In America i candidati alla Presidenza e non solo, ai governatorati eccetera, hanno sempre corteggiato le star del cinema. Una star (non tanto brillante), Reagan, è addirittura diventata Presidente, altre, come Schwarzenegger e Eastwood, governatori. Ma anche laggiù a volte, non tutto andava secondo logica.

John Wayne e Nixon
Alle elezioni del 1968 si contesero la presidenza Richard Nixon, repubblicano, e Hubert Humphrey, democratico. Il presidente uscente era Lindon Johnson, che era subentrato a John Kennedy, assassinato nel novembre del 1963 a Dallas. Johnson pur essendo stato un buon presidente, era sempre stato tallonato dall'ombra di Kennedy, assurto alla leggenda. Un'ombra che avrebbe condotto la volata, proteggendolo da ogni ostacolo, a Bob, fratello di John, ormai predestinato presidente democratico per la legislatura '69-'73. Nel giugno del '68 Bob Kennedy venne assassinato a Los Angeles. Gli elettori americani, chiamati a votare in novembre, scioccati dalla mancanza del nuovo magnifico referente, si videro proporre Humphrey, un nome senza nobiltà, marketing e leggenda. Tuttavia i democratici ritenevano che il volano kennediano del progressismo e dei diritti civili, fosse ancora molto veloce. Humphrey si fece vedere con Katharine Hepburn, la più grande attrice americana, portatrice di quei valori progressisti, liberal, persino femministi. Se fosse stato ancora vivo, il suo grande partner Spencer Tracy l'avrebbe assecondata e accompagnata dovunque nella campagna a favore di Humphrey. L'anno prima la coppia era stata protagonista di Indovina chi viene a cena, un titolo ritenuto, allora, scandalosamente progressista: era la storia di un nero che sposa una bianca, la figlia di Katharine e Spencer, appunto. Il successo del film era stato tale da favorire un incremento esponenziale dei matrimoni misti. Con una partner come la Hepburn, Humphrey si sentiva in una botte di ferro. Ma durante l'ultimo comizio repubblicano Richard Nixon, trionfante, annunciò l'avvento del più grande e affidabile amico del popolo americano. Si spalancò la porta e irruppe John Wayne, a cavallo. Wayne rappresentava il patriota coriaceo, portatore magari enfatico dei valori tradizionali americani, l'eroe che ti faceva sentire al sicuro. Vinse Nixon. I valori di Katharine erano magnifici, ma quelli di John erano forti. Il conservatore Wayne, attore, aveva dunque dato una mano al candidato, decisiva, magari.
br/> Michael Moore e Kerry
Alle ultime elezioni presidenziali americane, quelle che quattro anni fa diedero il secondo mandato a Bush, l'avversario del candidato repubblicano era John Kerry. Kerry non era un antagonista di particolare carisma, altrimenti, favorito della devastante amministrazione dell'uscente Bush, probabilmente ce l'avrebbe fatta. Partito favorito, Kerry si vide affiancato da Michael Moore, cineasta in grande evidenza, che aveva ridicolizzato Bush col suo Fahrenheit 9/11, superpremiato in tutto il mondo, Cannes compresa. Nel film Moore attaccava il Presidente con argomenti precisi e documentati, ma con un eccesso di faziosità che gli tornò (soprattutto tornò al candidato) come un boomerang. Per di più Moore, fisiologicamente poco simpatico, si propose e ripropose con invadenza. Insomma non diede nessuno scampo al povero Kerry. Certo, Bush non vinse solo per Moore, c'erano di mezzo le varie lobbies, che all'ultimo momento ribaltarono il risultato, ma il regista ci mise davvero del suo.

L'anarchia di Benigni
In Italia nella campagna del 2001, Rutelli versus Berlusconi, tutti ricordiamo l'intervento della coppia Biagi-Benigni, schierati davvero con applicazione a favore di Rutelli. Non gli portarono fortuna. Prima, a difesa di Berlusconi si era battuta Iva Zanicchi, e il cavaliere vinse. Certo, pensare che il target da "programma&pensiero piccolo" vicino alla cantante-animatrice, abbia portato voti decisivi, è davvero molto triste.
Benigni si è dunque riproposto, con le riconosciute intelligenza e irruenza, a favore di Veltroni. Sappiamo com'è andata. Un cittadino è felice di delegare il proprio divertimento a Roberto Benigni, ma davvero delega a quel tipo di genialità incontenibile, paradossale e anarchica, il proprio pensiero politico? L'immagine Clooney-Veltroni... non è stata capita. Emergeva con troppo contrasto, nella differenza di quei due volti, la diversità fra sogno e realtà, fra cinema e politica. Ma cosa c'entrava il "bell'americano"? La gente si è smarrita.
I nomi fatti all'inizio, quelli della passerella al comizio romano sono, in prevalenza, i corpi e le facce dell'ultimo cinema italiano, depresso e nichilista, che non sorride e si fustiga, incomprensibile e lontano dal paese vero. Un cinema scollato dalla gente, poco amato, proposta per pochi eletti. Fra i quali "eletti", Veltroni non c'è stato.

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