Se ne va per sempre un eroe dei nostri tempi.
di Pino Farinotti
La scomparsa di un'icona
Una volta, intervistato dal network N.B.C, verso la fine degli anni Settanta Charlton Heston, alla cronista che lo aveva appena definito "un'icona", rispose "è una definizione che non mi piace, ma è corretta". In realtà a Heston quella definizione sta persino stretta: lui appartiene alla categoria ancora più evoluta, e più alta, è un eroe. Quando faceva Mosè, soprattutto Ben Hur, chi andava al cinema con "spirito libero e cuore puro" - allora ancora si poteva - uscendo dalla sala era a sua volta Ben Hur. Per qualche ora, o minuto, il ruolo dell'eroe apparteneva anche a noi, che eroi non siamo. Ed è il destino, magnifico, di certe icone, appunto: con Errol Flynn eravamo Robin Hood, con Robert Taylor eravamo Ivanhoe, con Gary Cooper il sergente York, con John Wayne l'uomo di legge che faceva giustizia e che, in virtù del meccanismo detto sopra, tutelava anche noi, seduti in sala e guardarlo. Tutto questo appartiene a Heston, che non solo fu uno bello, anzi bellissimo - e come tale penalizzato –, si è sempre ritenuto che i belli non potessero essere anche bravi - ma ancora una volta dettò regole sue e vinse l'Oscar come attore protagonista. Con Ben Hur.
Un personaggio poliedrico
Nel privato l'uomo Charlton finisce per essere ancora l'attore, e come tale, per definizione, personaggio poliedrico, dalle molte facce. Dunque la sua partecipazione alle manifestazioni sui diritti umani nel decennio eroico, cioè gli anni sessanta, quando si schierò, attivamente, "fisicamente", accanto a Martin Luther King, non si accorda con l'adesione alla National Rifle Association, la discussa lobbie delle armi. Una stecca che il furbastro Michael Moore rilevò impietosamente nel suo Bowling a Columbine, dove intervistava l'attore, già ammalato, sfottendolo. Certo, quando lo vedemmo parlare da un pulpito brandendo un vecchio fucile, provammo grande nostalgia per un'immagine diversa, quella di Mosè che brandendo il suo bastone, apre le acque del mar Rosso nei Dieci comandamenti. Fu quella, anzi è una delle grandi espressioni del cinema, e lo trascende, diventando una sorta di grafica d'arte generale, buona per la pubblicità e per l'arte figurativa. Un fotogramma che fa più che mai parte della memoria popolare e leggendaria del cinema.
Colto, intelligente e soprattutto coraggioso
Fu coraggioso quando nel 2002, in una conferenza stampa annunciò di avere l'Alzheimer. Disse "cercate di essere indulgenti, e se vi racconterò due volte la stessa barzelletta, ridete lo stesso".
Era colto e intelligente. Amò Shakespeare fin da ragazzo. E anche se la carriera lo portò lontano da quei ruoli, tuttavia accettò una piccola parte nell'Amleto di Branagh pur di "toccare" il più grande autore di tutti i tempi. In chiave di qualità, occorre citare Orson Welles col suo Infernale Quinlan. Heston doveva interpretare un poliziotto messicano, dunque accettò di farsi tingere i capelli e di abbruttirsi, anzi, "normalizzarsi", perché con tutti gli sforzi era impossibile renderlo brutto. Non solo, ma mise anche dei soldi, molti, nel film.
Dissero di lui che aveva una testa da antico romano e un corpo da Michelangelo. Così tradusse il concetto in realtà, anzi in cinema, interpretando il già citato Ben Hur e proprio Michelangelo, impegnato sulla volta della Sistina ne Il tormento e l'estasi.
Adesso non c'è più. Mancherà.