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Jake Mahaffy, il cinema 'nel' reale

Free in Deed, miglior film Orizzonti 72. in streaming su MYMOVIESLIVE.
di Mauro Gervasini

In foto il regista Jake Mahaffy.
Jake Mahaffy . Regista del film Free In Deed.

sabato 12 settembre 2015 - Approfondimenti

Jake Mahaffy, americano di nascita (dell'Ohio) ma neozelandese d'adozione. Segnatevi il suo nome perché di vero talento trattasi, uno di quei registi che passo dopo passo sta costruendo un personale percorso di ricerca e originalità. Il suo ultimo film, Free In Deed ("libero davvero"), disponibile in streaming su MYMOVIESLIVE, ha vinto il Premio Orizzonti alla 72. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica, scelto tra altri 18 da una giuria presieduta da Jonathan Demme.

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Alla Mostra di Venezia Mahaffy era già stato nel 2012 con un cortometraggio, Miracle Boy, che colpiva per lo sguardo non comune. Storia del riscatto di un ragazzino pentito per avere preso pesantemente di mira un coetaneo, ambientata in una comunità rurale del West Virginia, in mezzo ad una campagna ripresa in modo iperrealista quasi malickiano. Tutti attori non professionisti, una vicenda di finzione che però tenta di avvicinarsi al vero assecondando l'improvvisazione dei personaggi, in un contesto naturale ingombrante che impone alla narrazione tempi e spazi. Free In Deed prende un'altra direzione ancora. Mahaffy scrive una sceneggiatura basata su un fatto di cronaca realmente accaduto: il tentativo del membro di una chiesa pentecostale di guarire un bambino disabile solo attraverso la fede. Il testo scritto funziona però come punto di partenza, perché il regista si preoccupa anche in questo caso di lavorare con l'ambiente, scegliendo uno stile realistico ma non "docurealistico", come pure qualcuno ha scritto, perché il racconto con la realtà deve interagire ma non sparire.
Il film è la storia di un uomo dal passato turbolento che cerca di riscattarsi abbracciando la fede. Vive questa nuova vocazione con un trasporto eccessivo, ma sincero; frequenta una comunità evangelica di Memphis, conosce la madre di un ragazzino affetto da una forma di autismo, cerca di guarirlo con la sola imposizione delle mani, credendosi tramite della benefica volontà di Dio.

I due protagonisti, l'uomo e la donna, sono attori professionisti, David Harewood e Edwina Findley, eccezionali. Il "coro" circostante, però, è autentico. Mahaffy ha girato all'interno delle storefront churches, i luoghi di culto ricavati nei vecchi negozi o nei magazzini dismessi della città di Elvis, entrando insieme ai due attori nelle cerimonie liturgiche, respirando il fervore di persone che si abbandonano all'esercizio esteriore e interiore della fede in modo fisico, irrazionale, per certi versi mistico. Macchina da presa mobile, frequente ricorso ai primi piani, alternanza di illuminazione naturale e artificiale (negli interni), a voler sottolineare i cambi anche violenti di atmosfera tra i diversi ambienti. Nonostante una regia presente, a volte molto marcata, il punto di vista in Free In Deed non è giudicante. Alla fine, a tragedia conclamata, lo spettatore non dubita della buona fede dell'uomo, non è mai chiamato a giustificare le sue azioni bensì a comprenderle; così come la credulità dei (veri) fedeli delle chiese non diventa spettacolo ma resta spaccato antropologico, urlo collettivo di una comunità che non ha altro a cui affidarsi (a essere fredde e distanti, nel film, sono le istituzioni: il personale sanitario, la polizia...).

Film complesso, non facile ma affascinante: per certi versi ricorda l'approccio di Roberto Minervini (Low Tide, Stop the Pounding Heart, Louisiana (The Other Side)). Nelle diversità, lui e Mahaffy condividono un cinema che vuole a tutti i costi essere "nel" reale.

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