Nipote dello scultore Jacob Epstein, Roland Joffé ha iniziato la sua carriera in televisione. I suoi primi crediti includono numerosi episodi della celeberrima serie Coronation Street. Presto si fa vivo l'impegno politico delle sue storie, come nelle serie Bill Brand e nel dramma Play for Today, che lo renderanno personaggio popolare e scomodo al contempo.
L'esordio al cinema, Urla del silenzio, datato 1984, seguito poi da The Mission, 1986, a tutt'oggi forse il suo film più celebre e riuscito, conferma questa tendenza: la poetica di Joffé è quella dell'intellettuale europeo che un po' nasconde di esserlo e tenta, spesso con esiti positivi, di coniugare senso dello spettacolo, di marcata deriva hollywoodiana, e attivismo sociale. Il suo stile, confacendosi a questa scelta, è sempre a rischio di risultare didascalico o pomposo e inutilmente magniloquente, ma Joffé - da buon inglese - sa cos'è la misura e sa piuttosto bene evitare i rischi, destinati a essere amorali in un cinema come il suo, della confezione patinata (si veda la fotografia di Chris Menges - insignita di Oscar, non a caso - o si senta la colonna sonora di Morricone per il film del 1986); di fatto, inoltre, è un ottimo direttore di attori, eredità forse dei primi lavori televisivi.
In ogni caso, un cinema pensato in tale maniera, più di produzione (il suo sodale di questi anni è David Puttnam) che di cuore o di regia anche se potrebbe non darlo a vedere, attrae presto gli onori della critica e, di conseguenza, del pubblico e Joffé riceve per entrambi i suoi primi due film una nomination agli Oscar come Miglior Regista.
È tuttavia una parabola di ascesa troppo immediata: al di là di tutti i premi e di tutti gli onori ricevuti, Roland Joffé è regista meno intenso di quel che è sembrato dare a vedere e la sua carriera lo dimostra presto. Il declino è anche produttivo, oltre che creativo: come produttore, nel 1993 fallisce il colpo di Super Mario Bros., adattamento in anticipo sui tempi di un popolare videogioco della Nintendo, mentre come autore lo si aspetta al varco di nuove opere, ma sia La città della gioia (1992) sia soprattutto La lettera scarlatta (1995) rivelano cattivo gusto e facile pedagogia. Sembrano finiti i tempi del cinema impegnato, e Joffé si disperde anche in film di genere, a suo tempo molto lontani dalla sua concezione di cinema: è il caso di Captivity, 2007, che ha peraltro suscitato pareri controversi e discordanti.