Scrittore e regista tedesco, è un ex docente di Cinema alla Staatlichen Hochschule für Gestaltung di Karlsruhe, da lui stesso istituito. Con il suo contributo cinematografico, la Germania si è intellettualmente incattivita e ha ripreso quota d'autorialità in termini di cultura cinematografica europea. Come è avvenuto tutto ciò? Firmando una delle più grandi saghe del grande schermo tedesco che è anche diventata un'opera di contenuto e che lo ha imposto rapidamente come uno degli autori più in forma della nazione. Un autore dallo sguardo acuminato e adulto sul mondo che stava cambiando che ha saputo sintetizzare in una grande lezione di storia, grazie alla quale ha potuto spiegare la sua patria. Filosofico e pessimista, Reitz con tutti i duri film della serie Heimat, racconta i danni collaterali delle due guerre, i postumi del nazismo e l'ombra del suo cattivo simbolo, l'industrializzazione, le malefatte dei terroristi, accordandoli al tema del conflitto. Un pugno allo stomaco per il mondo del cinema, che si è dovuto adeguare al colpo estetico subito. Attesissima, la monumentale opera di questo cineasta viene avvertita come una necessità di liberarsi dai glaciali e spaventosi miasmi del passato, per fuggire altrove, lì dove le regole erano più libere di essere infrante, dove tutto era considerato ancora estremo, dove la morte non era associata a nulla di pericoloso (perché parte di un ciclo vitale), nel cuore di una selvaggia provincia tedesca e, quindi, ancora baluardo di civiltà. La lucida violenza dell'autore è unicamente per il suo stile e gli intenti lungimiranti atti ad allontanarsi dalle major americane, per dedicarsi al cinema firmato, di nicchia, con obiettivi e strategie diverse dai blockbusters. Il classico modo di concepire un film cambia... nasce il tocco tedesco in un viaggio storicamente purificatore.
Studi
Edgar Reitz nasce il primo novembre 1932 a Morbach, nella regione della Renania-Palatinato, da Robert Reitz, un orologiaio, e da una casalinga. Cresciuto in una famiglia cattolica, studia alla Herzog-Johann-Gymnasium di Simmern, diventando il pupillo del suo insegnante di tedesco Karl Windhäuser, che lo spingerà a studiare recitazione e regia teatrale, co-fondando una compagnia teatrale studentesca. Dopo essersi laureato in letteratura tedesca, giornalismo, storia dell'arte e teatro a Monaco, comincia a lavorare come scrittore, pubblicando poesie e racconti durante tutti gli Anni Cinquanta e diventando l'editor della rivista letteraria SPUREN.
I primi lavori
La prima esperienza nel mondo del cinema avviene come direttore della fotografia, montatore e assistente alla produzione a partire dal 1953, lavorando principalmente per l'Internationale Verkehrsausstellung di Monaco, realizzando uno spazio di proiezione simultanea con 120 schermi mobili. Nel 1962, proprio grazie a questa iniziativa, è diventato il capo della sperimentazione e dello sviluppo della casa di produzione Insel-Film, ma nel frattempo, lavora anche come script adviser nella compagnia di produzione di cinema didattico Gesellschaft fuer bildene Filme (GBF). L'anno successivo, assieme ad Alexander Kluge, fonda, nel 1963, l'Institut für Filmgestaltung, collegato alla Hochschule für Gestaltung di Ulma, dove insegna teoria fotografica e registica fino alla fine del 1968. Intanto, muove i suoi passi nella regia firmando documentari industriali (Moltopren I-IV), film tv (Ora di cinema, Funoten) e cortometraggi (Congresso medico, Destino di un'opera, I bambini, Navigazione interna, Organizziamo un picnic, Posta e tecnica, Ricerca sul cancro I e II, Susanne balla, Un europeo come te e me, Yucatan), ma soprattutto assieme a registi e artisti come Herbert Vesely, Haro Senft, Raimond Ruehl e Franz-Josef Spieke, fonda il Doc 59 o Municher Gruppe, con i quali aderirà, assieme a Kluge, all'Oberhausener Manifest del 1962, entrando in contatto con quei giovani registi che vogliono trovare un nuovo modo di fare cinema, di fronte alla morte del vecchio modo di quello precedente, sotto il motto "Papas Kino ist tot", "Il cinema di papà è morto". Arriva, insomma, la New Wave tedesca. E sotto questa luce, prende forma Mahlzeiten (1967), che vincerà il premio per la migliore opera prima al Festival di Venezia, mentre nel 1969, adatta per il grande schermo il romanzo di E.T.A. Hoffmann "Das Fraulein Von Scuderi", che avrà come titolo Cardillac, storia di un gioielliere ossessionato dalle sue creazioni tanto da uccidere chiunque gliele compri, per le riaverle.
Gli Anni Settanta
Nel 1971, fonda (con il suo migliore amico Robert Busch) a Monaco di Baviera la propria casa di produzione, la Edgar Reitz Filmproduktion, con la quale produce documentari come: Cinema 2 (1971) e Andiamo ad abitare (1975). Firmerà anche altri film a soggetto come La cosa d'oro (1972), Il viaggio a Vienna (1973), Quando un grave pericolo è alle porte le vie di mezzo portano alla morte (1974), Ora zero (1977), Geschichten vom Kübelkind, che invece vincerà l'Interfilm Award al Festival di Berlino. Nel 1977, entra nel progetto collettivo Germania in autunno, firmando l'episodio Gernzstation, andando a comporre una panoramica sulla Germania nell'autunno del 1977, scossa da terribili avvenimenti come: il sequestro e l'omicidio dell'industriale Hans-martin Schleyer; il dirottamento di un aereo della Lufthansa a Mogadiscio; e la morte dei terroristi Andreas Baader, Gudrun Esslin, Ulrike Meinhof e Jan Carl Raspe nel carcere di Stammheim. Nel 1978, produce e dirige la pellicola Il sarto di Ulm, che racconta il declino sociale del pioniere dell'aviazione Ulm Berblinger.
La saga Heimat
Poi realizza Heimat, che doveva essere un documentario, ma che invece diventa una serie di film (Heimat, Heimat 2 - Cronaca di una giovinezza, Heimat 3 - Cronaca di una svolta epocale, Heimat - Fragmente, L'altra Heimat - Cronaca di un sogno) di quasi sessanta ore che è stato enormemente apprezzato dal pubblico e ha ricevuto un plauso dalla critica, nonché numerosi premi. La grandezza storica di Reitz sta proprio nel fatto di essere riuscito a portare a termine un progetto a lungo termine e quindi monumentale, con un approccio totalmente nuovo, che riesce a unire poesia e realismo, nella narrazione del passato tedesco. Sia Heimat (1984) che Heimat 2 - Cronaca di una giovinezza (1992), vincono il premio FIPRESCI al Festival di Venezia (anche se la seconda opera ottiene anche un Premio Speciale del Festival di Venezia in occasione del giubileo della manifestazione e anche l'Adolf Grimme Award come miglior serie televisiva). Seguendo la famiglia Simon, abitanti di un paese immaginario di nome Schabbach, situato nella regione rurale montana di Hunsruck, tra il Reno e la Mosella, si dipanano, con pazienza e quasi affetto, le singole vicende dei protagonisti che acquistano significati universali di fronte agli eventi storici, siano essi tragici o meno. Pacata e statica, la saga sembra voler esaltare quelle che sono le vere virtù patriotiche tedesche: l'alta moralità, la pazienza e l'innata bontà. Virtù che, nonostante le brutture della politica e della società, rimangono inalterate, seppur nascoste. Reitz, con uno stile ironico e vigoroso, mischia il registro della commedia a quello del dramma, avvalendosi di una ottima e chiarissima fotografia e di un'accurata scenografia, ed è portato in trionfo da tutta la cinematografia europea, soprattutto per aver fatto rivivere un genere cinematografico ormai andato dimenticato, il feuilletton. In Heimat, c'è di tutto, dalla Prima Guerra Mondiale agli amori adolescenziali, dalle birre cantate in compagnia durante feste teutoniche fino alla rivoluzione sessuale, dal kennedysmo e al terrorismo, dalla corposità di Thomas Mann agli isterismi di coppia di Strindberg, fino alla caduta del muro di Berlino, all'Unificazione, al capitalismo selvaggio. Non c'è, nella storia cinematografica della Germania, un'opera che sia così tanto splendida, immensa e grande, che metta in luce non il singolo individuo, ma una collettività, la gente comune, che si trova di volta in volta di fronte a una nuova Germania, a un nuovo momento storico, a un nuovo cambiamento epocale, rimanendone affascinata o spaventata.
Gli scritti e le case di produzione
Come teorico del cinema, fra gli Anni Settanta e Ottanta, Reitz pubblica numerosi saggi e articoli sull'estetica cinematografica, ma anche racconti, poesie e versioni letterarie dei suoi film. Nel 1993, vince il Premio Luchino Visconti. Nel 1995, Reitz istituisce a Karlsruhe prima l'Europäische Institut des Kinofilms (EIKK), diventandone il Presidente del Consiglio dei Docenti (che comprende grandi cineasti come Theo Angelopoulos, Alain Tanner, Jean-Luc Godard, István Szabó), e poi il Staatliche Hochschule für Gestaltung, diventandone uno dei docenti di cinema. Nel 2005, con il ritiro del suo socio in affari Busch, decide di chiudere la sua casa di produzione, per fondarne un'altra assieme a suo figlio, Christian, la Reitz & Reitz-Medien GbR, che oltre a produrre film, si occuperà di diffondere al pubblico le opere cinematografiche mute, con proiezioni accompagnate da un'orchestra.
Vita privata
Edgar Reitz è sposato in terze nozze con la cantante e attrice Salome Kammer.