Uno degli esponenti più brillanti della generazione d'oro dei cineasti cileni.
Sebastián Lelio ha sentito ripetere il suo nome nelle principali premiazioni cinematografiche a partire dal suo quarto film, Gloria. L'anno era il 2013. Ma è con il suo ritorno nel circuito dei festival, nel 2017, che ha definitivamente segnato la sua storia e, parzialmente, anche quella del cinema.
Il merito va a due interessanti pellicole girate e uscite nello stesso anno: Una donna fantastica e Disobedience. La prima gli ha fatto avere l'Oscar al miglior film straniero. La seconda è invece stata il suo debutto in lingua inglese, con tanto di star nel cast (Rachel Weisz e Rachel McAdams).
La trilogia sulle donne ai margini
Ma di cosa parla il cinema di Lelio? La risposta la troviamo proprio nelle tre opere appena citate. Dopo Gloria, il regista aveva deciso di dedicare un po' di tempo alla scrittura ed era rimasto coinvolto emotivamente nella stesura di Una donna fantastica. Nel frattempo, continuava a ricevere offerte di lavoro dagli Studios. Disobedience fu la proposta dalla quale si sentì più attratto e accettò. Ma prese la drastica decisione di scrivere e dirigere due pellicole nello stesso anno. Il risultato fu la creazione di un filo conduttore, voluto o meno, che riguardava vite femminili che, solitamente, non si vedevano al cinema. Una sorta di trilogia sulle "donne ai margini" della società. La divorziata cinquantenne di Gloria, la transgender di Una donna fantastica e le due amanti ebraico-ortodosse di Disobedience.
In comune, hanno tutte la provenienza da un luogo "organico" della Settima Arte che proprio perchè raramente rappresentato al cinema diventa oggetto intrigante, rivelato solo intuitivamente allo spettatore.
L'idea di Gloria partì da un'esperienza privata. Lelio notò, a un semaforo rosso di una strada cilena, una donna dell'età di sua madre che cantava dentro un'auto. Senza conoscerne il motivo, si sentì connesso con lei, con le sue lotte, con quel processo sociale che rende oggi invisibile una donna matura, all'interno di una società ossessionata dai giovani. Similmente accadde con Una donna fantastica, che aveva al centro un'altra figura femminile rifiutata nel sociale. Lo stesso rifiuto assoluto che incontrano le due donne innamorate di Disobedience.
Pur sapendo il pericolo che correva nel ritrarre gruppi di cui non faceva parte (che si trattasse della comunità transgender o di quella ebraico-ortodossa), Lelio ha visto in queste storie di "discesa in battaglia" per un riscatto umano la grande opportunità di un film che doveva essere realizzato. Evitando le facili trappole stereotipate, ha reso più complesso ciò che doveva essere semplice e ha seguito i loro passi come fossero orme lasciate da qualche animale che, fiutando, cerca riparo o va a caccia. Una specie di solidarietà filmica ben avvinghiata alla psicologia delle protagoniste, che gli ha permesso di non rimanere imprigionato nella banalità. Ma anche di fargli trovare il passaggio per elevare un'opera cinematografica a esperienza cinematografica. E così, in questa subconscia trilogia, l'aspetto sociale del film non è erroneamente posto al centro di tutto, ma è parte di una narrazione eterogenea che ingloba il senso della vita, della religione e degli altri. Un mondo segreto che è stato per lui un invito a esplorare angoli di sconosciuto, sui quali ha saputo fare luce a suon di sfumature, dettagli e dinamiche sequenze. Era ai personaggi che puntava per arrivare alle persone; a quello spettatore che, in ultima fila, posto centrale, riconosceva quegli esseri umani fittizi come suoi pari, nonostante le differenze. Quindi, un cinema che si fa macchina di empatia. Che moltiplica le nostre esperienze di vita attraverso la proiezione su uno schermo. Uno schermo sul quale si stende un buon film. Un buon film che conta quasi come ogni altra esperienza di vita.
I film religiosi
Ma prima della trilogia, c'era un cinema che faceva della religione uno dei suoi temi principali.
Lelio si interroga su quale ruolo la spiritualità giochi nelle nostre vita e nel nostro lavoro.
Cresciuto nel cattolicissimo Cile, assiduo frequentatore di chiese, sagrestie e oratori fin da bambino, il regista si allontanò rapidamente dalla fede cristiana, malgrado rimanesse ancora affascinato dal bisogno religioso dimostrato dalle persone. Un interesse che lo portò, arrivato dietro la cinepresa (soprattutto con La sagrada familia e Navidad), a prendere tutto questo e sovvertirlo... o provare almeno a vederlo sotto una luce diversa. Il risultato è un appassionato corpus che descrive le credenze come sistemi sociali creatori di vere e proprie prigioni concettuali. Ma l'antagonismo con le comunità religiose, che è sempre forte, spinoso e bellico, per Lelio è solamente dentro i personaggi stessi, ormai dipendenti da queste bussole morali ed etiche. Essi sembrano non trovare un equilibrio tra l'osservanza religiosa e la giusta distanza da essa, che sarebbe poi in grado di farli sentire ancora degli esseri umani. Una traduzione difficilissima da fare in pellicola, ma che Lelio riesce a far progredire spiegando l'utilità di questo bisogno psicologico e sociale.
Al servizio delle attrici
C'è poi da sottolineare il fatto che il cinema di Lelio è un cinema che è in grado di trarre scene inaspettate dalle sue attrici protagoniste. Da Paulina Garcia a Daniela Vega arrivando fino a Rachel McAdams, questo regista costruisce un rapporto di lavoro che gli consente la piena libertà di movimento nella descrizione dei personaggi principali, ma nel contempo la giusta indifferenza quando essi vengono messi nelle mani dell'interprete scelta. Quella sarà una battaglia artistica cui sente di non dover partecipare, visto che riguarderà solo colei che starà davanti alla cinepresa. L'unica richiesta avanzata è quella di fidarsi di lui, ma senza perdere l'audacia e la follia necessarie per creare uno spazio drammatico da esplorare e, magari, perdersi. Un salto nel profondo che, per noi, è indubbiamente fonte di grandi emozioni cinematografiche.
I film che non vedrete mai a Hollywood
È per via di questi motivi che i film di Lelio sono così potenti e meravigliosamente diretti. Dietro quella cinepresa onesta e dolcemente toccante, che si poggia su un personaggio, c'è tutto ciò che non si vedrà mai in un film hollywoodiano. Ciò che l'industria cinematografica americana trascura (le donne di una certa età che si sentono ancora giovani, la solitudine notturna di una transgender che non sa più come riempire le sue notti dopo la perdita dell'amato e la fragile felicità di un segreto incontro saffico che diventa intensa passione), sono temi sui quali non si fanno soldi e che, quindi, vengono accantonati.
Lelio invece vede in questi pezzi di vita vacillante tra speranze e disperazioni una nuova forza che, come abbiamo visto, conquista tutto il mondo. E non racconta queste storie "ai bordi della società" come le racconterebbero loro, aggiungendo sporcizia, volgarità e quella sensazione di un'esistenza ruvida e poco chiara. Ne fa ritratti vitali, confondendone volutamente alcuni passaggi, di modo che appaiano come allegorie di una capacità di recupero umano. Abbiamo così scene in cui Gloria e Marina affrontano la vita a suon di musica, ballando da sole o in gruppo. Perchè la felicità in grado elevarle, mentre schivano la corrente del loro isolamento, è sempre a portata di mano, basta avere però la valorosa costanza di afferrarle partendo da loro stesse, dalle loro profondità e dalla loro partecipazione alla vita.
Così facendo imbastisce opere che non sono commedie o drammi, ma prospettive piacevolmente equilibrate, che non fanno mai un passo sbagliato nella stravaganza o nella tragicità.
La cinepresa di Lelio appartiene letteralmente a questo fine e lo dimostra in ogni fotogramma, dai primi piani di appagamento, frustrazione, delusione e felicità su un volto femminile fino ad allegre sequenze che segnano una rarissima maturità artistica. Più che controllati movimenti di camera, sembra quasi si debba parlare di meravigliosi atti di vita che rendono avvincente ogni cosa.
Ed è un modo di fare cinema che gli Stati Uniti oggigiorno si sognano. Incapaci ormai di coraggio e di una mentalità fuori dal guadagno certo, ma anche di stare accanto al loro protagonista quando una grande fuga diventa unico desiderio (e non è invece letta costantemente come viltà). In più, nella ricca e variegata gamma di storie da loro proposte, c'è tutto quel didascalismo che appesantisce la narrazione. Un errore in cui Lelio non incorre mai, perchè lascia a noi il senso della storia. È lo spettatore che deve intraprendere un'attenta e strana analisi di questi percorsi emotivi, sfruttando la sua elasticità mentale, per superare i propri limiti e trarne il messaggio.
Occhio al cinema sudamericano
Sono autori come Sebastián Lelio che ci costringono a dare un'occhiata al cinema sudamericano. Un'attenzione internazionale che, in questi ultimi anni, ci sta offrendo una serie di aspetti interessanti. Non solo partendo dalla sua storia passata, ma anche da soggetti che abbracciano la contemporaneità. Non si può proprio più rimanere indifferenti nei confronti di questo cinema e di questa cultura audiovisiva che, sicuramente, avrà ancora tantissimo da darci. Gemme come Gloria o Una donna fantastica rinfrescano il cinema moderno e sono sensibili odi al tempo e alla pazienza di questi autori, che non si limitano a riflettere sul loro contesto geografico, ma partono da esso per un racconto universale.
Cileno sempre, argentino mai!
Nato a Mendoza, da padre architetto argentino e madre ballerina cilena, Sebastián Lelio segue la madre a Viña del Mar, in Cile, dopo la separazione dei suoi genitori. Lì, cresce con i suoi sette fratellastri. Per questo motivo, si considererà sempre più cileno che argentino. Il nuovo matrimonio della madre lo spinge a non stare per più di due o tre anni nella stessa città. Da Viña del Mar passa per esempio a Concepción, la Perla del Bío-Bío, e da lì parte per trascorrere qualche anno nel Nord America. Dai dodici ai diciasette anni, si stanzia invece nel Cholguán, di fronte al Rio Itata. Compiuti i diciotto anni, decide di cambiare il suo cognome, prendendo quello del suo patrigno (Campos), ma quando comincerà a ottenere un po' di notorietà (vale a dire dopo il suo primo lungometraggio) riacquisterà il cognome paterno. Dopo aver studiato giornalismo presso l'Universidad Andrés Bello, nel 1994 si iscriverà all'Universidad ARCIS per seguire i corsi della Scuola di Cinema di Claudio di Girolamo e Pedro Chaskel, cui seguiranno nel 1995 quelli della Escuela de Cine de Chile.
I primi lavori
Comincia a dirigere i suoi primi cortometraggi, video musicali e fiction alla fine degli Anni Novanta, privilegiando già allora la neonata tecnologia digitale e usando improvvisazione, sceneggiature senza dialoghi e tanto lavoro di montaggio. Poi debutta nel 2003 con il documentario CERO, un'opera basata su materiali inediti riguardanti la caduta delle Torri Gemelle, che ha co-diretto con Carlos Fuentes. Rimane in questo genere firmando con Fernando Lavanderos due stagioni della fortunata serie Mi mundo privado, arrivando a essere nominato per due volte al Premio Altazor e agli Emmy. Si è poi distinto vincendo la borsa di studio Guggenheim e il DAAD del Berliner Künstler Program per lo sviluppo di nuovi progetti.
Gli esordi "religiosi"
Nel 2005, finalmente si sente pronto per esordire alla regia di un film a soggetto e realizza La sagrada familia. Girato in tre giorni e montano in un anno, la pellicola partecipa a oltre cento festival nazionali e internazionali, ottenendo ben ventotto premi. Si tratta di un'opera molto personale su una famiglia di architetti che ha deciso di passare il fine settimana pasquale nella loro casa al mare. In quell'occasione, il figlio, oppresso dalla megalomania paterna, presenta ai genitori la sua ragazza. Ma questa, troppo erotica ed emancipata, porterà caos in quel nucleo permeato invece di rigore religioso e morale. Dopo quel primo successo, arriva Navidad (2009) su una coppia di adolescenti, Alejandro e Aurora, che partono da Santiago per andare a trascorrere le vacanze natalizie con la famiglia di lei. Il viaggio è una presa di coscienza delle rispettive frustrazioni e incertezze sessuali, che porteranno a terribili tensioni, dissipate solo grazie all'incontro con una ragazza scappata di casa. Sarà questa terza figura a spingerli a celebrare il Natale in una maniera stravagante, colmando così il comune senso di solitudine che li pervade. Presentato alla Quinzaine des réalisateurs di Cannes 2009, il film riscuote notevoli plausi e sarà un buon biglietto da visita quando, nel 2011, Lelio si presenterà al 64° Festival di Locarno con il suo terzo lungometraggio El año del tigre, incentrato su un detenuto che fugge dal carcere, proprio mentre il terremoto del 2010 sta mettendo in ginocchio l'intera nazione.
Gloria
La consacrazione definitiva arriva con Gloria, storia di una 58enne che conduce un'esistenza solitaria e che, per compensare il vuoto, frequenta sale da ballo, vivendo fugaci avventure di una notte. Sarà l'incontro con un 65enne a farle credere di avere ancora una speranza affettiva da giocare al 100%, magari vivendo una seconda giovinezza. Partita nella quale investirà tutta se stessa, malgrado l'ingombrante presenza della ex moglie dell'uomo e delle sue invadenti e fastidiose figlie. Vincitore del Film in Progress Award al San Sebastian International Film Festival del 2012, Gloria sarà premiato anche al Festival di Berlino del 2013. Saranno scritte ottime recensioni su questa pellicola e sulla sua protagonista (Paulina Garcia, Orso d'argento come miglior attrice), meritevoli di aver risvegliato il sonnolente cinema cileno, evocando quella fastidiosa sensazione che permea le storie che contano davvero sul grande schermo. Pare che tutti si rivedano in questa donna che si rifiuta di gettare la spugna, anche quando la sconfitta potrebbe imporle una solitaria vecchiaia. Un racconto straordinario e audace, che esibisce una grande dose di naturalezza anche di fronte alle nudità appartenenti a persone che non sono più nel fiore degli anni. La cinepresa di Lelio, infatti, ne mostra il desiderio dei corpi come un regista cinematografico avrebbe fatto con le più giovani star di Hollywood.
Scelta per rappresentare il Cile alla corsa degli Oscar per la categoria del miglior film straniero, questa storia di una ritrovata indipendenza, che deve trovare il suo spazio in una classica struttura sociale omologata e con troppe convenzioni, non verrà candidato. Ma l'amore in età matura (che fino ad allora era rimasto quasi un tabù cinematografico, a parte qualche commediola leggerissima), coadiuvato da una regia minimalista al limite della sfumatura e che ben è riuscita a modulare i toni cuciti sopra lo script, conquista comunque molti altri premi, che hanno saputo rendere giustizia a un'eroina anonima, avvilita e grigia.
L'Oscar al miglior film straniero
Quando sembra che niente possa superare un'opera del genere, ecco che invece arriva Una donna fantastica. Scritto con Gonzalo Maza, il film vince l'Orso d'Argento per la migliore sceneggiatura e il premio Teddy per il miglior lungometraggio. In più, porta in auge la protagonista, la cantante lirica transgender Daniela Vega, nei panni di Marina, cameriera transessuale che deve affrontare la morte del compagno con tutti gli sgradevoli pregiudizi istituzionali e la rabbia e la sfiducia di chi vorrebbe escluderla dalla vita dell'uomo che le apparteneva. Tra Goya, Indipendent Spirit Award e tanti altri premi, c'è posto anche per l'Oscar al miglior film straniero, motivato dalla qualità indubbia della sceneggiatura che gioca su due linee equidistanti (da una parte le reazioni che l'identità sessuale di Marina provoca in chi non è disposto a riconoscerla e dall'altra la determinazione a preservare il proprio diritto alla privacy e a celebrare un lutto che sente solamente suo), da un messaggio di disprezzo contro la benpensante borghesia cilena che riserva feroci trattamenti a chi considera di classe inferiore e da una regia che sa ribadire intuitivamente l'esplorazione di dignità e orgoglio femminili, anche attraverso la successione di un assetto naturalista e surreali divagazioni estetiche.
L'altro film del 2017
Non contento, lo stesso anno, lascia che venga distribuito nelle sale il suo primo lavoro in inglese: Disobedience. Scritto in collaborazione con la drammaturga inglese Rebecca Lenkiewicz, il film è un adattamento del romanzo omonimo di Naomi Alderman e ha nel cast Rachel Weisz, Rachel McAdams e Alessandro Nivola. Ambientato nella contemporanea comunità ebraico-ortodossa londinese, Disobedience parte da Ronit, donna emancipata e anticonformista, che torna a casa per i funerali del padre e che ritroverà Esti, un suo amore giovanile che ora è sposata con suo cugino. Il riaccendersi di una passione proibita investe le due donne, fino a travolgerle e trasformarle in oggetti di biasimo. Si ritorna a una fotografia e a una regia più asciutte, dove persino i toni dello script sembrano rispettosamente abbassarsi. Si tratta di un'opera minore, indubbiamente, ma non meno efficace sotto certi punti di vista.
Il remake americano di Gloria
Nel 2018, la FilmNation Entertainment lo convince a girare un remake americano di Gloria, con la partecipazione di Julianne Moore, John Turturro, Brad Garrett, Holland Taylor e Caren Pistorius. Il film, dal titolo Gloria Bell, viene presentato al Toronto Film Festival e, pur restituendo al pubblico la trama originale, trasforma la Gloria Made in Usa in una donna con una più spiccata autoironia, il che ha portato un moderato plauso da parte della critica statunitense.
Vita privata
Sebastián Lelio si è trasferito a Berlino, dove vive con la sua compagna. Ha abbracciato una vita fatta totalmente di cinema e libri, ammettendo di non avere una tv in casa sua. L'ultima si è rotta nel 2008 e da allora non l'ha mai più ricomprata.
Sebastián Lelio ha sentito ripetere il suo nome nelle principali premiazioni cinematografiche a partire dal suo quarto film, Gloria. L'anno era il 2013. Ma è con il suo ritorno nel circuito dei festival, nel 2017, che ha definitivamente segnato la sua storia e, parzialmente, anche quella del cinema. Il merito va a due interessanti pellicole girate e uscite nello stesso anno: Una donna fantastica e Disobedience
All'ultimo Festival di Toronto il suo Disobedience, film drammatico ambientato nella comunità ebreo-ortodossa londinese che affronta il tema dell'omosessualità femminile e vede protagoniste Rachel Weisz e Rachel McAdams, ha riscosso grandi consensi di critica e di pubblico. Ora arriva sui grandi schermi italiani Una donna fantastica, storia di una trans che, nella Santiago dei giorni nostri, affronta l'ostilità nei suoi confronti da parte della famiglia del suo compagno