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Dominique Maillet

Dominique Maillet è un regista

Uomo di poche parole, Dominique Maillet si presenta così. «Sono originario del nord della Francia, Lens, il paese delle miniere. C'è una buona squadra di calcio, certi anni... Ho un percorso molto atipico. Mio padre era un ex operaio, promosso piccolo funzionario. Come sono arrivato al cinema? È molto semplice: non ho mai voluto fare altro nella vita. Ovviamente ci sono state delle tappe man mano che crescevo Ricordo che alla scuola elementare già disegnavo delle macchine da presa. Non ho mai voluto fare altro, quindi tutta la mia energia l'ho impiegata nel tentare di penetrare in un campo in cui evidentemente non conoscevo nulla e nessuno. E poco a poco ho cominciato a fare delle cose, da franco tiratore, da indipendente. Tutto ciò che ho fatto l'ho fatto da autodidatta. Sono arrivato a girare il mio primo lungometraggio senza mai essere stato assistente: ci ho provato molte volte ma non sono mai riuscito a essere assistente, non dovevo essere molto dotato per questo mestiere. E dire che proponevo anche di lavorare gratuitamente. Allora ho fatto dei cortometraggi. Poi sono passato al lungometraggio».
La passione per Philippe Noiret nasce nei lontani anni 1974-1975. «All'epoca - ricorda Maillet - c'è stata in Francia una grande ondata in cui ci si è messi a scrivere libri sulla gente del cinema, L' editore Henri Veyrier è stato molto importante in Francia perché ha pubblicato, penso, la più grande collezione di libri di cinema al mondo. Philippe lo conoscevo molto poco, ero dovuto andare come giornalista su uno o due set. Un giorno mi è presa la voglia di conoscerlo meglio. Ne avevo parlato con Henri Veyrier che mi annunciò: «Philippe Noiret è l'attore che preferisco! Se lei fa un libro su di lui, banco!».. Sono andato a trovare Philippe Noiret, gliene ho parlato e ovviamente lui non ha voluto. Mi ha detto che non era alla fine della carriera e che non amava parlare di se stesso, insomma non aveva voglia di farlo. Sono ritornato a trovarlo, era durante le riprese di Tendre poulet. Mi ribadì il suo rifiuto. Gli ho risposto: «Senta Philippe, posso dirle solo una cosa: che lo voglia o no, uscirà un libro su di lei. Se lo facciamo insieme, almeno lei potrà controllarlo». Una settimana dopo mi ha detto di sì. A partire da quel momento ho cominciato a perseguitarlo. Credo che nella prima edizione del libro ci sia l'equivalente di venticinque ore d'intervista, ovviamente scaglionate in molto tempo. Andavo a casa sua e facevamo delle sessioni di tre film per tre film. Poi sono andato a cercare le copie dai distributori: avevo un amico direttore di una sala cinematografica per una grande compagnia francese, dopo l'ultima proiezione a mezzanotte, arrivavo in sala con le mie bobine e lui mi proiettava i film fino alla quattro del mattino. Ho fatto delle scoperte su delle cose abbastanza stupefacenti, penso ad esempio a Justine di Cukor. Guardando i suoi film ho misurato tutta l'estensione della sua gamma interpretativa. Per esempio quando recita nei film italiani la gestualità non è la stessa di quella in un film francese, è interessante avere un approccio. A poco a poco io penetravo nella sua intimità, a volte a sua insaputa: quando ha visto la prima edizione del libro è stato molto sorpreso per alcune foto che non conosceva, delle foto di lui bambino o adolescente! Senza che lui lo sapesse, ero andato a trovare i suoi genitori, erano molto fieri del fatto che si facesse un libro sul loro figlio, e mi avevano aperto gli album di famiglia. Nessun fanatismo da parte mia: ho scoperto un attore che mi ha interessato, poi appassionato, e che ho poi un po' accompagnato per diversi anni.
Sono state delle scoperte per me soprattutto i film non francesi. Ho detto Justine, potrei dire anche La guerra di Murphy, un tipo di cinema nel quale non siamo abituati a vederlo. La pointe courte, mi è sembrato interessante storicamente, ma niente di più. Era interessante anche seguire come l' attore ha costruito la sua immagine. In una certa maniera era come accompagnare la sua esistenza. I grandi shock sono stati La vie de château, Alexandre le bienhereux, i classici insomma, ma io ho amato anche dei film, che del resto non vedo da molto tempo, come Le trèfle à cinq feuilles di Edmond Freess, delle cose un po' bizzarre; del resto Noiret è sempre stato a suo agio nell'universo di De Broca».
Nel 1995 Dominique decide di girare un film come regista. Ah se il protagonista fosse proprio l'amatissimo Philippe. Il grande attore legge il copione di Le roi de Paris e accetta di interpretare il protagonista, una star degli Anni Trenta sul viale del tramonto. Molto riuscita la descrizione dei rapporti di amorosa reciproca sfiducia tra Derval e Coste, l'orgoglioso autore dei suoi testi. Non sempre eccellenti gli altri interpreti, ma è un neo comprensibile in un "debuttante". Peccato che dopo quel debutto (la proiezione fiorentina è un'anteprima italiana) il regista e studioso abbia dovuto attendere dieci anni prima di mettere su un altro progetto: ci sta attualmente lavorando, auguri vivissimi.
Da France Cinema 06

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