Una carriera tutto sommato positiva e felice, quella di Gianni Zanasi. Iniziata nel lontano 1995, con il suo esordio Nella mischia, e che prosegue ancora oggi, con tante incursioni all'interno di festival e sale francesi. Ha resistito a tutto, questo regista e sceneggiatore. Al tremendo periodo di crisi che investì il cinema italiano, costringendolo a fare un bilancio di se stesso. Alla massimizzazione televisiva, la cui assoluta egemonia culturale mutò le abitudini degli italiani. E finalmente, dopo tanto penare, è approdato anche lui sano e salvo come Virzì, Sorrentino, Guadagnino, Garrone, alla ritrovata ripresa. Dove ricchezza, diversità e originalità stanno parlando attraverso la nostra migliorata settima arte.
Un cinema apprezzato, quello di Zanasi che, come già scritto, non perde occasione di misurarsi sul territorio francese con efficace capacità di penetrazione. Un cinema interessante proprio perchè con sensibile estro entra a far parte di un piccolo patrimonio nostrano.
Dalla provincia modenese Anni Sessanta, il cammino è stato lungo. È passato per Bologna, per le mani di Nanni Moretti ed è poi arrivato a Roma, dove il suo amore per il cinema è esploso proprio in un momento di piena crisi: gli Anni Novanta. Ma è riuscito comunque a farsi sentire. Venezia, Cannes, documentari che facevano il punto sulla vita di chi col cinema ci vive, fino a trovare il suo posticino formato celluloide. Non si è privato di nulla. Anzi, ha avuto anche la fortuna di vedere uno dei suoi più grandi successi trasformarsi in una miniserie tv e di essere considerato non tanto un semplice regista italiano, quanto un regista europeo.
Tanti volti che prima erano solo emergenti sono passati davanti all'obiettivo della sua cinepresa: Cesare Bocci, Giacomo Ciarrapico, Caterina Murino, Dino Abbrescia, Thomas Trabacchi, Carlotta Natoli e i suoi preferiti, Giuseppe Battiston e Valerio Mastandrea. Tutti volti e corpi che hanno incarnato le ironie italiane. Dalla Alba Rohrwacher di Troppa grazia, geometra a cui un giorno appare la Madonna, al rocker Valerio Mastandrea di Non pensarci, cornificato e asciugato di tutte le sue idee artistiche, ma che si erge salvatore familiare.
I suoi personaggi, così come i suoi film, si presentano subito come estremi. Ma sono estremi che si toccano, si scontrano. Affondano lì dove c'è confusione, dove non si riesce a capire perchè proprio a quei personaggi, perchè proprio quegli avvenimenti.
Per la maggior parte, sono pellicole particolarmente folli, che lasciano al pubblico la facoltà di sentire, di immaginare. Alcune, certo, sono meno perfette di altre per l'eccessivo didascalismo, ma nel complesso sono antiretoriche, leggere, schiette. Indubbiamente ben dirette, si avvalgono di scelte tematiche di rara intelligenza, trattate fuori dal consueto. Lo scopo rimane quello di parlare di cose che ci riguardano. La situazione dell'imprenditoria italiana. Il "sistema" cinema che non funziona. L'illusione di essere "fuori" da certe meccaniche, quando invece ne siamo parte integrante. Sono tanti gli autori contemporanei del nostro territorio che hanno sposato con l'obiettivo le stesse cause politiche e sociali. Per carità, atto nobile. Ma quando tutti le affrontano sempre nella stessa identica maniera, ogni film risulta trito e ritrito. Zanasi evita questo intoppo. Gestisce la trama sociale ed esistenziale divertendo il pubblico, con un caloroso umorismo, lasciando le parti più pe(n)santi come sottotesto e cercando di "lasciar scorrere" le scene. Persino quell'unico difetto che tutti gli indicavano (la povertà delle immagini) sembra essere un vago ricordo. Il mestiere che porta avanti con dignità gli ha insegnato la praticità, è vero, ma ha anche lasciato che, titolo dopo titolo, sviluppasse una propria estetica. Sicuramente poco vanagloriosa e supponente.
Studi
Nato a Vignola nel 1965, Gianni Zanasi studia filosofia all'Università di Bologna. Appassionato di letteratura, si iscrive poi a una scuola di scrittura teatrale. Dal copione alla sceneggiatura, il passo è molto breve. Arriva un corso di cinema diretto dal grande Nanni Moretti. A questo punto, prende una decisione drastica: vuole fare cinema. Il trasferimento a Roma è spinto dall'entrata nel Centro Sperientale di Cinematografia, dal quale ne uscirà diplomato in regia nel 1992 con Le belle prove, un corto che racconta la noia di un gruppetto di adolescenti romani.
Il corto si trasforma
Tre anni più tardi, Zanasi amplia e sfrutta lo stesso cortometraggio per costruire il suo primo lungometraggio. Gli cambia titolo. Da Le belle prove a Nella mischia e lo manda alla Quinzaine des Realisateurs del Festival di Cannes. L'ambientazione rimane uguale, un quartiere della periferia della capitale. Così come la frustrazione e l'insofferenza dei protagonisti, desiderosi di nuove esperienze di vita, ma che si limitano a sopravvivere in un'apatia cittadina. Indiscutibilmente truffautiana (citato esplicitamente, tra l'altro, in una scena), la pellicola ha la stessa contagiosa e piacevole vitalità di certe commedie di Renato Castellani, ma senza lo stesso cinismo pessimistico. Zanasi vuole parlare dei problemi della nuova generazione (il malessere, la sensazione di sbandamento, la già avvertita precarietà del futuro, la caduta dei valori che col senno di poi ci costerà politicamente molto cara) con lucidità e distacco critico, ma smorzandoli nella risata. Qualche critico ci rivede un po' di Zavattini, ma è lo script buffo, da risata, ripieno di slang e di un dialetto sporco, che ne fa una vera e propria opera di Zanasi e di nessun altro.
Zanasi fa se stesso
Nel 1999 firma Fuori di me. Zanasi stavolta si mette in prima linea come protagonista e interpreta se stesso che, con due attori, si trova a presentare il suo film in un quartiere di Bari. Un posto in cui, quando l'unico cinema del luogo proietta qualcosa, tutto è vissuto come un grande evento. Improvvisamente, vengono trattati come fossero delle star, tanto che ci sono fans e giornalisti (di riviste locali) fanno a gara per ricevere la loro attenzione. Il racconto viene dall'esperienza fatta da Zanasi quando andò in giro per l'Italia promuovendo Nella mischia. Il film è quindi come un surreale e curioso backstage della sua vita e rimane un'opera di indiscutibile originalità comica. Lo stesso anno, porta a Venezia A domani. La storia di fuga di due fratelli bugiardissimi però non piace alla critica internazionale e italiana. Il titolo, in confronto alle altre pellicole in competizione, è definito "piccolo piccolo", "innocuo" e gracile. L'atteso riscatto del nostro cinema che la stampa nostrana aveva profetizzato in un periodo di pienissima crisi delle sale, manca di avverarsi. La pecca più grave sembra essere quella dell'eccessiva lunghezza che rallenta una sceneggiatura che sarebbe stata molto più gradevole e spiritosa se di breve durata.
Il ritorno al cinema
Zanasi si prende una lunga pausa. Ritornerà al cinema solo nel 2004 con il documentario La vita è breve ma la giornata è lunghissima, girato con Lucio Pellegrini. Il film ottiene la Menzione speciale della Giuria alla Mostra del Cinema di Venezia per aver bene inquadrato la vita di un gruppo di giovni attori italiani emergenti. Maddalena Maggi, Carlotta Natoli, Dino Abbrescia sono le facce da frame di un'opera arguta, ironica e fantastica. Non piangono sulle ceneri di un cinema italiano che sembra non volersi mitologicamente rigenerare, ma affrontano raccontano le loro vite (cause di divorzio, songi nel cassetto, brunch, manifestazioni, incontri) con ironia e piacevolezza. La lucida passione di Zanasi ben si sposa con l'indipendenza mentale di Pellegrini.
Le commedie amare
Nel 2007, arriva Non pensarci, una commedia amara con protagonista Valerio Mastandrea. L'accoglienza è positiva, soprattutto per lo script che aggira, evita e ribalda con divertimento i luoghi comuni di un ben inquadrato genere in cui siamo stati maestri. Può la storia di un musicista punk-rock che ha compreso il totale fallimento della sua vita all'età di 36 anni raccontare gli intimi problemi di una famiglia borghese sull'orlo del tracollo finanziario? Sì, può. E lo fa proprio con questo film. Il ritratto impietoso del nostro instabile Paese diventa la scusa per giocare a cavalluccio tra comicità e piccolo dramma, con tutta il surrealismo che la vita di provincia può avere talvolta. La vitalità di Zanasi e dei suoi personaggi vince su tutto il grigiore. Lo scalfisce, lo taglia trasversalmente, lo capovolge e lo restituisce al pubblico distante con sentimento. Qualcuno parla di una rinascita del regista che si credeva perso dopo il flop di A domani. In effetti, ci troviamo di fronte a uno Zanasi più equilibrato, ricco di invenzioni comiche e pungenti, ma soprattutto che guarda alla realtà in una maniera più attenta e con una cattiveria che lascia il retrogusto monicelliano. Il film ha così successo che viene trasformato in una serie televisiva dal titolo Non pensarci - La serie. Nel 2015, si aggiunge alla sua filmografia La felicità è un sistema complesso. Anche qui, una trama abbastanza insolita con un uomo dalla professione stranissima: influenzare futuri incompetenti dirigenti così che rinuncino ai loro posti in aziende che, altrimenti, condurrebbero al fallimento. Il lavoro va a gonfie vele fino a quando qualcuno non arriva nella sua vita e rischia di mandare tutto in rovina. Purtroppo, malgrado il guizzo creativo, la bravura nel maneggiare il cinema valorizzando ogni sua componente, l'abilità di Zanasi di ben descrivere istituzioni sociali, qualcosa si inceppa nella sceneggiatura. Manca la spregiudicatezza. Quel filo di cattiveria in più che avrebbe reso senza ombra di dubbio il film molto più scorrevole. A seguire, arriva il suo primo film con protagonista una donna, Troppa grazia (2018). La confusione esistenziale e sociale, stavolta, è declinata al femminile e la famiglia, il lavoro e la percezione di se stessi e delle proprie azioni vengono travolti da un'ondata religiosa che rende giocose persino le apparizioni divine.
Nel 2022 porta alla Festa del Cinema di Roma il nuovo film War - La guerra desiderata.
Il cinema italiano è assediato dalle convenzioni. Sia il cinema di genere sia il cinema d'autore vengono spesso percepiti come stereotipati. Talvolta questo aspetto - non certo un problema recente - è stato identificato con la centralizzazione "romana" dei prodotti, e con estetiche (vuoi sociologiche e periferiche, vuoi urbane e borghesi) oleografiche. A questo stato di cose ha reagito una delocalizzazione delle produzioni che, tra anni Novanta e oggi, ha fatto parlare di volta in volta di nuova onda napoletana, cinema pugliese, cinema sardo, friulano e così via