Regista greco, Yorgos Lanthimos ha fatto irruzione nella cinematografia mondiale, presentando al pubblico i suoi film particolarmente ricchi di stranezze e di bizzarrie, ricevendo l'attenzione internazionale. Critica e pubblico sono infatti affascinati dal suo amore per la commedia, anche lì dove è profondamente radicata una storia di violenza o di miseria.
Fin dalle sue prime opere, si fa cantore di drammi surreali, che molto velocemente gli hanno fatto guadagnare non solo prestigiosi premi, ma anche le etichette celebrative di "autore", "cineasta" e "artista", in grado di coltivare la sua arte, completamente separata dai meccanismi dell'industria hollywoodiana, perché a suo dire portatrice di stress e perché "Non sai davvero se apprezzano il tuo lavoro o se vogliono semplicemente incontrarti perché il tuo film è popolare in quel momento".
La soluzione ideale è stata trovata lasciando la Grecia e trasferendosi nella solida comunità artistica londinese, dove sviluppa progetti commercialmente validi e richiedendo che le star di fama mondiale si avvicinino a lui alle sue condizioni e non a quelle dettate dai loro agenti o dai produttori. Un modo di fare cinema che ha creato un'involontaria alternativa alla forma americana.
Gli elementi del suo cinema
Le sue pellicole partono da premesse abbastanza semplici, ma costruiscono analisi eccezionalmente coinvolgenti di temi e situazioni universali come l'elaborazione di un lutto, la solitudine, l'emancipazione, la violenza, il trauma, la disperazione.
Scritte con il suo fidato co-sceneggiatore Efthymis Filippou, esse delineano semplicemente "altri mondi", nei quali i personaggi agiscono come cavie di un enorme esperimento sociale immaginario, sfidando nozioni di vita collettiva, che si discostano dalle norme della civiltà, come se prima di loro non fossero mai esistite società da imitare. Per questo, il comportamento dei personaggi è, talvolta, a dir poco inquietante. Qualcuno si autoinfligge del dolore per un gioco di tolleranza, altri mentono spudoratamente per arrivare ai loro fini, ma tutti cercano di abbandonare il mondo in cui vivono in favore di un altro modo di esistere. Una fuga dalla realtà che però, spesso, si rivela una dimensione totalmente fraintesa e che, quindi, chiude ogni titolo con una provocata tragedia, nata interamente dalla disonestà loro o altrui o dalla protezione tirannica.
Esteticamente contraddittorio, Lanthimos privilegia interni asettici o oscuri, trascinando adolescenti, nobili, persone comuni nel profondo di un incubo che non riconoscono come tale e che contribuisce alla loro alienazione e alla loro disillusione dalla società di riferimento. Alienazione che è sottolineata anche dalla maniera in cui le battute vengono pronunciate, con intonazioni impassibili, movimenti sgraziati e goffi dei loro corpi, accarezzando la percezione di un assurdo che è reso intrinsecamente comico, tanto da allontanare le sottostanti implicazioni sinistre.
Il tutto orchestrato, tenuto insieme, incollato da uno stile di regia derivato da pellicole di kung fu o dagli spaghetti western. Vediamo infatti close-ups, medium shots, fluidi movimenti di camera e zoom dinamici e caratteristici per enfatizzare le reazioni dei personaggi, talvolta steadicam e piani americani, ma anche long take e panoramiche. Fusi in un montaggio pulito, lineare e solo talvolta volutamente stonato.
Follie nel metodo
Considerato il più alto rappresentante della cinematografica Weird Wave greca, fortemente influenzata dalla crisi finanziaria che consumò la nazione per molti anni a partire dal 2008, i cui effetti si avvertono ancora oggi, Lanthimos, come Athina Rachel-Tsangari e Alexandros Arvanas, cerca di vedere il mondo attraverso la sperimentazione audio-visiva funzionalmente appropriata, pertanto mai fine a se stessa, ma composta in modo tale da offrire risposte senza la comprensione precisa della domanda, lasciando il pubblico nel mezzo di situazioni aberranti senza alcun proprio commento. Sostiene infatti di trovare molto più interessante riuscire a mettere gli spettatori nelle condizioni di esplorare e perdersi nei film, esattamente come nella vita reale, senza timore ed essendo disposti a rimanere meravigliati.
Visioni singolari, dunque, per un pubblico molto vasto. Ed ecco, quindi, stridenti thriller di periferia su famiglie che tengono i loro figli tagliati fuori dal mondo esterno, distopiche storie d'amore su persone che devono scegliere tra la vita di coppia o diventare animali, contorte commedie nere ambientate nella corte reale britannica del XIX secolo dove due nobildonne lottano e complottano per ottenere l'affetto di una regina precipitando in un intricato labirinto senza passioni, deliziosi horror-fantasy in costume dove una creatura femminile di shelleyniana memoria riportata alla vita deve scoprire per la seconda volta il mondo. Tutto celebra gli effetti corrosivi del potere e della possessione, l'avidità che si trasforma in cupa ossessione, senza concessioni e in narrazioni avvincenti e imprevedibili.
Era dall'avvento di Lars Von Trier che un regista non riusciva a disturbare ed entusiasmare il pubblico in egual misura, ampliando allo stesso tempo il suo profilo.
"Cerco solo di decidere cosa mi interessa e cosa mi entusiasma. Non mi preoccupo di come verrà percepito", dice Lanthimos. Come studente di cinema nella Grecia degli Anni Novanta, l'inesistente macchina cinematografica della sua nazione lo aveva costretto a mantenere basse le sue ambizioni. Non c'erano nemmeno teatri d'essai che lo esponessero a una gamma di più ampie possibilità di visione. La sua sensibilità poteva emergere solo da altre esperienze. "Non avrei mai pensato che avrei potuto fare film. Essendo greco, non era proprio una realtà", ma nonostante questo ha sviluppato un gruppo affiatato di amici esperti di cinema e, insieme, hanno cominciato a trovare lavoro realizzando spot pubblicitari (quasi un centinaio), affinando il suo istinto tecnico. "Ho fatto un sacco di cazzate", confessa. Ma poi si è spinto nella realizzazione di lavori più seri, collaborando con coreografi alle riprese di spettacoli di danza, dirigendo opere teatrali, formandosi sulla fisicità del corpo dell'attore, fino a raggiungere il punto in cui era diventato più evidente che prima o poi avrebbe voluto provare a fare un film.
Dopo che è avvenuto, però, le prospettive non sembravano positive. Nemo propheta in patria, nessuna delle sue pellicole ha avuto successo al botteghino greco. Il pubblico ha latitato le sale nelle quali erano distribuite le sue pellicole, preferendo pellicole di genere mainstream. Eppure, nonostante questo, è andato avanti diventando una delle voci più distintive della scena cinematografica mondiale, facendo qualcosa di speciale per preservare la sua voce peculiare e la sua dignitosa libertà creativa anche quando è passato a girare dei film in inglese.
E come quegli eroi greci di omerici canti, Lanthimos è rimasto avventuroso, aperto all'ispirazione e all'interpretazione, osservatore e creatore dei conflitti all'interno di una società, uno stimolatore di domande sul comportamento umano, sul modo in cui costruiamo le nostre identità e di conseguenza anche il nostro contesto esistenziale.
Studi
Nato ad Atene il 23 settembre 1973, figlio di una negoziante e di un campione di basket, Yorgos Lanthimos cresce principalmente con sua madre.
Dopo aver frequentato l'istituto dove suo padre insegnava, la Moraitis School, si diploma in business administration, seguendo poi la carriera sportiva paterna nella sua stessa squadra, la Pagrati BC. Ma realizza molto presto che quella non è certamente la sua strada e quindi decide di studiare regia cinematografica e televisiva alla Hellenic Cinema and Television School Stavrakos di Atene.
I primi lavori
Una volta laureato, comincia a lavorare nel settore pubblicitario, passando prestissimo ai cortometraggi. Comincia nel 1995 con O viasmos tis Hlois e prosegue fino al 2019 con titoli come Uranisco Disco (2001), Necktie (2013) e Nimic (2019). Quest'ultimo è la storia di un incontro tra un violoncellista professionista e una sconosciuta che avrà delle conseguenze incredibili sulle vite di uno dei due.
Parallelamente, dirige anche alcuni video musicali per artisti come Despoina Vandi, Giorgios Dimitriadis, Leon of Athens fino ai Radiohead.
A queste esperienze si affiancano le regie teatrali di opere come "D.D.D" di Dimitris Dimitriadis (2002), "Barbablù" (2004) di Dea Loher, "Natura morta in fosso" (2008) di Fausto Paravidino e "Platonov" (2011) di Anton Cechov.
La notorietà con Kinetta
Dopo una prima esperienza di co-regia accanto a Lakis Lazopoulos, nel 2001, con O kalyteros mou filos, arriva il suo debutto da solista con Kinetta (2005), scritto e realizzato con una troupe ridotta all'osso e con un cast di soli tre attori.
La trama coinvolge tre residenti di un albergo (un commesso di un negozio di fotografia, un solitario operatore video part-time e una giovane cameriera), in una città di villeggiatura greca, che tentano di creare omicidi per ragioni enigmatiche.
Un'opera che fornisce il primo approssimativo assaggio dell'estetica di Lanthimos: un mondo inquietante e autonomo che aderisce alla propria logica, quasi ridicolo sulla carta, ma in qualche modo credibile sullo schermo.
Il progetto lo ha portato nel mondo dei festival cinematografici di Toronto e Berlino, attirando l'attenzione di critici e rendendolo improvvisamente consapevole di un universo più grande in cui i suoi film sarebbero potuti esistere.
Dogtooth
Dopo aver presentato Kinetta all'estero, torna a casa per girare Dogtooth, che diventerà la scoperta di Cannes del 2009, dove ottiene il Premio Un Certain Regard.
Dogtooth è la storia di una famiglia composta da padre, madre due figlie e un figlio, che vivono ai margini della città in una casa protetta da un alto recinto. Mentre i ragazzi sono istruiti ed educati esclusivamente dai genitori, senza poter mettere un piede fuori casa, senza poter avere contatti con altre persone che non siano quelle del loro nucleo familiari e il loro agente di sicurezza, si mette in moto una serie di violenti eventi, derivati da una singola gentilezza, che spaccheranno l'isolamento domestico.
Una metafora di rottura estrema col passato dei padri, lasciando presentire disarmonie emotive e spietati dissensi, inaspriti dalla drammatizzazione e dall'imperturbabilità empia della storia e dei protagonisti ai limiti del masochismo. Una cronaca di un ordinario fascismo: patriarcale e repressivo.
Mentre Dogtooth guadagnava slancio a livello internazionale, Lanthimos si tuffa nel progetto successivo, Alps, un thriller bizzarro e coinvolgente su persone che imitano cari recentemente defunti, per aiutare i loro parenti a elaborarne il lutto.
Il film trova pubblico favorevole a Venezia, dove si guadagna il Premio per la Migliore sceneggiatura, subito dopo che Dogtooth perde l'Oscar come miglior film straniero.
Un raccorto potente, ricco di allegorie, ma per alcuni imperfetto perché incapace di sorreggere il pazzo impulso iperrealista, insito nel disorientamento identitario, nella violenza occulta e nella freddezza che tratta il decesso come una qualsiasi altra merce. Arrivano addirittura a dargli del regista sopravvalutato, forse rimanendo infastiditi dallo stile ellitico e a loro sfuggente, che spiega poco, ma provoca tanto. Altri, invece, ne lodano il macabro script, così pieno di concetti sul vivere e sul sopravvivere e capace di accentuare il livello di ironica alienazione.
The Lobster
Dopo un primo approccio esplorativo hollywoodiano, fugge nel Regno Unito, dove si arriva al punto in cui sono gli attori ad andare da lui.
Cate Blanchett esprime interesse per essere la protagonista di uno dei suoi film e similmente fa Rachel Weisz, che aspetta pazientemente la fine della scrittura della sceneggiatura di The Lobster (2015), per poi essere scelta accanto a Colin Farrell per recitare in un futuro bizzarro nel quale essere single è un crimine.
Il film arriva a Cannes, dove strappa il Premio della Giuria, ritrovandosi poi candidato all'Oscar per la migliore sceneggiatura originale, che sarà poi premiata anche all'European Film Awards.
Spiazzando lo spettatore, il mondo creato da Lanthimos e da Filippou trasmette una valida inquietudine per lo spirito di smarrimento che gli ospiti dell'albergo dimostrano, per le regole incomprensibili cui devono ubbidire, per le ragioni mai chiarite che li obbligano a vivere in coppia o da animali. Un'atmosfera claustrofobica, con una messa in scena spoglia e geometrica, che trova la sua spinta emotiva in una ribellione (restare single e umani) che si ritorcerà contro gli stessi protagonisti.
La critica italiana però non apprezza. Lo accusano di aver già perso lo sprint e l'inventiva, di essere stato decisamente inadeguato, confuso e banale (sob!).
Il pubblico non è assolutamente d'accordo e vede nelle pressioni sociali che ci vogliono "in coppia", le stesse pressioni sociali che primigeni governi di estrema destra nostrani tenteranno di promuovere in futuro. Questo perché, ancora una volta, sembra che Lanthimos suggerisca la sua visione del matrimonio e della famiglia come spazi totalitaristi, luoghi di potere e convenzioni. Ne apprezzano pienamente questa grottesca parabola, che è anche di natura politica, come a indicare un'Europa costretta a convivere per decreto.
Il sacrificio del cervo sacro
Nicole Kidman è entusiasta di abbracciare l'approccio non ortodosso del regista greco e accetta di recitare in Il sacrificio del cervo sacro (2017), anche qui con la presenza di Colin Farrell.
Vincitore di nuovo Premio per la migliore sceneggiatura a Cannes, il film narra la storia di un importante e di successo chirurgo cardiotoracico, felice e benestante, sposato con una eminente oculista e padre di due figli, che prende sotto la sua protezione un sedicenne orfano, introducendolo nella sua casa, ma senza sapere chi realmente egli sia e cosa egli voglia da lui.
La critica italiana ancora una volta risolve la questione rispolverando il termine "banale". Scrivono di un "solito" presente distopico che vorrebbe rappresentare l'inumanità dilagante e l'altrettanto inevitabile ricaduta nella violenza, in più etichettano tutto come "paccottiglia d'autore" di "sottomarca lynchana", che mima il genere, deragliando e sabotando se stessa per la più che ovvia incapacità del regista di mettere in scena della vera crudeltà. Per loro, i personaggi sono tutti inutili e disprezzabili. Ma, peccato ancora più grave, annunciano che "ci si annoia". Curioso che di fronte a un Lanthimos che gioca con regole meno disturbanti, lo si critichi perché uguale a quello di sempre. Curioso che non si colgano gli elementi della tragedia greca inseriti. Si sottolinea però quanto questa sia un'opinione meramente nostrana del suo film, perché all'estero pubblico e critica sono unanimi nell'elogiarne la struttura e i colpi di scena che lavorano in un piano subconscio, la regia in grado di non dare risposte visivamente facili ma disturbanti, l'incredibile performarce del cast e il fine simbolismo per esplorare temi profondi, chiaramente legati alla crisi del modello familiare e alla ricerca di una mononuclearità autentica. Difatti, la pellicola diventa un piccolo cult, destinato ad appassionare molti cinefili.
Il successo di La favorita
Però molto prima che il progetto del Sacrificio del cervo sacro arrivasse a Cannes, Lanthimos aveva già terminato la produzione dello straordinario La favorita (2018), uno dei suoi pochi film ad avere uno script non firmato da lui, ma da Deborah Davis e Tony McNamara.
Dando comandi definiti "sperimentali" al cast, mentre scorrevano la sceneggiatura che tutti conoscevano a memoria (perché tutti nel cast e nella crew avevano ripetuto le battute più e più volte), Lanthimos è riuscito a creare sul set un'atmosfera di estrema fiducia tra i membri, consci del fatto che potevano contare su chiunque per qualsiasi cosa, visto che sapevano sempre cosa gli uni o gli altri dovevano dire e fare nel momento in cui si cominciata a girare una qualsiasi scena. Un metodo lavorativo che abbraccia la libertà di portare elementi non tradizionali su una scala più ampia e che Lanthimos ammette derivare da diverse discipline artistiche (danza e teatro su tutte) presentate in un unico pacchetto.
Anche se i critici nostrani, soprattutto quelli della vecchia scuola, faticano ancora a classificare il suo lavoro, gli altri apprezzano la sconcertante danza di dispetti nella quale si cimentano Sarah Churchill, Duchessa di Malborough (interpretata da una ben ritrovata Weisz), e sua cugina Abigail Masham (Emma Stone), per compiacere la loro regina (Olivia Colman, che aveva già lavorato con la Weisz in The Lobster).
Una sceneggiatura accurata sul rapporto tra politica e potere in un quadro di insieme molto più ampio, di modo che tutto ciò che si vede accadere alla corte di Anna di Gran Bretagna potesse accadere anche nella realtà, ovunque nel mondo, in qualsiasi momento.
Riducendo gli affari e i temi politici in modo che siano più facili da comprendere, i due sceneggiatori e il regista affrontano le ripercussioni che derivano dalle decisioni e dalle azioni di queste tre donne, tanto che si fa fatica a comprendere chi sia fra loro quella veramente al comando. Un dramma morale che conferma quello che già la critica straniera sapeva e diceva da tempo: Yorgos Lanthimos è un autore di serie A. Ma la critica italiana sale comunque sul carro del vincitore, giustificando se stessa e le precedenti recensioni negative col fatto che, nel nuovo successo del regista, la penna che ha versato inchiostro non sia certo quella di Lanthimos e quindi ben lontana "dalle solite e banali elucubrazioni esistenziali".
Intanto, il film ottiene il Gran premio della Giuria a Venezia, viene candidato all'Oscar come miglior film e Lanthimos stesso come miglior regista e vince un BAFTA per il miglior film britannico e tre European Film Awards per miglior film, commedia e regia.
Di pungente umorismo, La favorita diverte il pubblico, anche come acre riflessione sui perversi meccanismi di potere e sull'ambiguità dei rapporti umani, giocati in un inedito triangolo amoroso-erotico, perfido e manipolatorio.
Visivamente, c'è un po' di tutto dentro, omaggi pittorici a Vermeer e al mitico de la Tour, al cinema di Greenaway e al Barry Lindon di Kubrick, ma deformati da grandangoli, che restituiscono una percezione da incubo.
Povere creature!
Passano cinque anni, prima che ritorni sul grande schermo. Nel 2023, è infatti nelle sale con l'adattamento del romanzo "Vita e misteri della prima donna medico d'Inghilterra" di Alasdrai Gray Povere creature!, che narra le vicissitudini della giovane Bella Baxter, riportata in vita da un brillante e poco ortodosso scienziato. La ragazza, desiderosa di imparare cosa sia il mondo, viaggia attraverso i continenti, libera dai pregiudizi del suo tempo e facendosi protettrice della propria emancipazione.
Affidandosi totalmente a Tony McNamara, senza mettere alcunché nella sceneggiatura, Lanthimos raggiunge un altro altissimo risultato nella sua filmografia, aggiudicandosi il Leone d'Oro al Festival di Venezia, un Golden Globe per la migliore commedia e due candidature all'Oscar per il miglior film e la migliore regia.
Anche qui, inserisce nel cast un volto che aveva già imparato a conoscere, Emma Stone, prestantasi superbamente a questo gioco di regressione infantile (in grado di farle ottenere il suo secondo Premio Oscar come miglior attrice protagonista) e che si lascia guidare al centro di una sperimentazione visiva, miscelatrice di elementi da favola gotica in un'estetica digitale altamente sofisticata. Tra simboli e metafore, riferimenti artistici come Escher, Gaudì e Schiele nella mise en scène, il film è osannato per essere un caleidoscopio di ambienti interni ed esterni, di panoramiche impossibili, impregnate di Art Nouveau, Art Decò, modernismo, espressionismo, surrealismo e movimenti artistici metafisici.
Intanto, quasi a ridosso del successo di Povere creature!, sempre con Emma Stone, arriva Kinds of Kindness (2024), una commedia in tre atti con tre diversi protagonisti, firmata dalla ritrovata coppia Yorgos Lanthimos e Efthymis Filippou.
Produttore
Yorgos Lanthimos è anche produttore e attore del film Attenberg (2010) di Athina Rachel Tsangari.
Vita privata
Yorgos Lanthimos è sposato con l'attrice Ariane Labed dal 2013.