Il regista francese Jean Eustache ebbe una vita turbolenta: dopo un primo tentativo di suicidio quando era appena ventenne, trascorse un anno in un ospedale psichiatrico. Morì infine per un colpo di pistola autoinferto al cuore all'età di 42 anni. Ma la sua esistenza fu anche straordinaria: entrò infatti in contatto con molti esponenti della Nouvelle vague francese, che incentivarono il suo amore per il cinema e lavorarono con lui. Autore di corti e lungometraggi il cui valore venne riscoperto solo in seguito, condusse la sua attività di regista tra gli anni Sessanta e gli anni Ottanta.
Cenni biografici
Nato a Pessac, in Francia, nel 1938, dopo il divorzio dei genitori trascorse la prima infanzia con la nonna materna, Odette Robert: è questa una fase della vita che in seguito influenzerà profondamente la sua filmografia, segnata da una forte componente autobiografica. Tredicenne, si ricongiunse con la madre a Narbonne, dove apprese il mestiere di elettricista, che gli consentì nel 1957 di trovare lavoro come operaio specializzato nella Società nazionale delle ferrovie francesi di Parigi. È in questo periodo che tentò la prima volta di togliersi la vita tagliandosi le vene, dopo essersi rifiutato di partire militare per l'Algeria. Dopo un anno in un ospedale psichiatrico, Eustache sposò Jeanne Delos, con cui ebbe i suoi due figli Patrick e Boris. Nella capitale Eustache frequentava assiduamente i cineclub, mentre la moglie lavorava come segretaria nella più importante rivista cinematografica francese: i Cahiers du cinéma. L'impiego di Delos consentì a Eustache di entrare in contatto con i più importanti registi della Nouvelle vague, tra cui Jean-Luc Godard, Éric Rohmer, Jean Douchet, Jean-Pierre Léaud e Paul Vecchiali.
Grazie ai suoi rapporti con Rohmer e Douchet, nel 1962 ebbe la possibilità di assistere alle riprese di due corti da loro diretti: La fornaia di Monceau e Mannequin de Belleville. Dopo aver realizzato un paio di cortometraggi con l'aiuto di Vecchiali e Godard, nel 1966 lavorò come montatore per tre documentari su Jean Renoir diretti da Jacques Rivette, Jean Renoir, le patron, destinati a far parte di una serie dedicata ai cineasti contemporanei e prodotta da Janine Bazin e André S. Labarthe. Nello stesso anno, Eustache lavorò anche in una trasmissione dedicata al regista e sceneggiatore tedesco Friedrich Wilhelm Murnau.
Nel 1972 si separò dalla prima moglie Jeanne Delos per intraprendere una relazione amorosa con l'attrice Françoise Lebrun. In questo periodo si dedicò alla direzione di alcuni lungometraggi, che ebbero uno scarso successo di pubblico e un altalenante riscontro da parte della critica. Nel 1977 prese inoltre parte a due film in qualità di attore, interpretando l'uomo gentile ne L'amico americano di Wim Wenders - oggi considerata una delle migliori opere del regista tedesco - e recitando in La Tortue sur le dos di Luc Béraud.
Gli ultimi anni della vita di Eustache sono segnati da sperimentazioni per la televisione e da numerosi progetti incompiuti, ma anche da una profonda sofferenza esistenziale, che lo spinse all'isolamento. A maggio del 1981, mentre si trovava in Grecia, ebbe un tragico incidente: cadde da una terrazza e si ruppe una gamba, rimanendo così costretto a zoppicare. Il 5 novembre dello stesso anno si suicidò all'interno del suo appartamento sulla Rue Nollet, a Parigi.
I corti
La carriera di Eustache prese avvio proprio con i cortometraggi, dopo aver assistito, nel 1962, alle riprese di La fornaia di Monceau e Mannequin de Belleville, due corti diretti da Éric Rohmer e Jean Douchet. Grazie all'aiuto di Paul Vecchiali, quello stesso anno realizzò il suo primo film breve con protagonisti Jean-André Fieschi, Chantal Simon, Paul Vecchiali e André S. Labarthe: La Soirée, rimasto incompiuto. Il 1980 è la volta di altri due corti: Offre d'emploi - dedicato a un uomo in cerca di lavoro ma ignaro del processo di selezione del personale - e Les Photos d'Alix, in cui la fotografa Alix Cléo Roubaud mostra i suoi lavori al giovane figlio del cineasta Boris Eustache. In quest'ultima opera, le fotografie diventano il veicolo di un discorso che diventa sempre più personale, in un crescente distacco tra parole e immagini.
I mediometraggi
L'esordio alla regia di film di maggiore durata avvenne nel 1963, quando Eustache girò Les Mauvaises Fréquentations, un film di media lunghezza che racconta la domenica parigina di due giovani sfaccendati: un'opera folgorante e asciutta che si inserisce a pieno nel panorama della Nouvelle vague francese, ricordando i primi lavori di Godard e Rohmer. Qualche anno più tardi, nell'inverno del 1965-66, con una commedia offertagli proprio da Godard, realizzò a Narbonne un secondo mediometraggio: Le Père Noël a les yeux bleus. Il film parla di un giovane - interpretato da Jean-Pierre Léaud - che per poter acquistare un cappotto costoso decide di accettare la proposta di un fotografo, che gli chiede di travestirsi da Babbo Natale e posare in strada con i passanti. Nel 1980 arriva infine una pellicola sospesa tra cinema e arte: Le Jardin des délices de Jérôme Bosch.
I lungometraggi
Nell'anno cruciale delle rivolte studentesche - il 1968 - Eustache tornò nel suo paese di origine per girare La Rosière de Pessac, un documentario incentrato sulle tradizioni della sua città natale e il primo esempio di una modalità intima di rappresentazione del reale che caratterizzerà anche i due lavori successivi. In primo luogo il documentario del 1970 con Jean-Michel Barjol Le Cochon, dedicato al rituale contadino della macellazione del maiale all'interno di un piccolo villaggio dell'Ardèche. Poi, l'anno seguente, una pellicola sulla nonna materna Odette Robert intitolata Numéro Zéro e realizzata con l'aiuto di due cineprese fisse che consentissero una ripresa in tempo reale della donna, filmata mentre raccontava al nipote la propria storia. Dopo una proiezione privata per pochi intimi, Eustache decise inizialmente di non diffondere il film, ma nel 1980 cambiò idea e accettò che ne venisse trasmessa una versione ridotta in televisione. In seguito, il cineasta Pedro Costa rintracciò e restaurò il lungometraggio, che uscì nelle sale nel 2003, riscontrando una scarsa affluenza di pubblico.
Nel 1972 girò inoltre La Maman et la Putain, un film con Jean-Pierre Léaud, Françoise Lebrun e Bernadette Lafont. La trama, di ispirazione autobiografica, segue alcune giornate di un giovane dandy di nome Alexandre che, costantemente impegnato a non fare nulla, trascorre il suo tempo perdendosi in lunghe discussioni nei caffè parigini e affaccendandosi in complicate relazioni amorose e sessuali. Capace di intercettare la sensazione di disillusione della generazione postsessantotto nonché uno dei lungometraggi più sperimentali di Eustache, nel 1973 venne selezionato per il Festival di Cannes ottenendo, in un clima burrascoso, il Grand Prix Speciale della Giuria, quell'anno presieduta da Ingrid Bergman, che detestava il film. Nelle sale ebbe una discreta affluenza, ma divise la critica e il suo valore all'interno della storia del cinema francese venne riconosciuta solo anni dopo.
Il relativo successo di La Maman et la Putain consentì al regista, l'anno successivo, di lavorare a un nuovo lungometraggio: Mes petites amoureuses. Altra opera di ispirazione autobiografica, è un racconto di formazione incentrato sull'infanzia e l'adolescenza di Daniel - chiaro alterego del regista -, diviso tra due luoghi: Pessac, dove vive con la nonna, e Narbonne, la città in cui passa il tempo con sua madre, con cui non riesce a instaurare un buon rapporto. Pellicola quasi muta, riscontrò una scarsa affluenza al botteghino.