Uno dei cineasti più importanti del cinema francese, si staccò molto presto dal neonato movimento della Nouvelle Vague per seguire una propria idea di cinema che potesse mettere a nudo le incoerenze nascoste della classe borghese dalla quale proveniva ma anche le ambiguità di un periodo storico delicatissimo per la storia francese come quello dell'Occupazione e, soprattutto, il rapporto morboso fra madre e figli.
Le radici borghesi
Nato a Thumeries dans le Nord nel 1932, mezzano fra tre fratelli e due sorelle, Louis Malle proveniva da una grande famiglia di industriali, proprietari di importanti zuccherifici. Suo padre, Pierre Malle (1897-1990), fu un ufficiale della Marina Francese sposato con Françoise Béghin (1900-1982), sorella di Ferdinand Béghin, a sua volta figlio del fondatore dell'azienda Béghin-Say, Henri Bèghin. Di fatto, dopo il matrimonio, i due uomini divennero proprietari delle fabbriche Béshin-Say de Thumeries. Come tutti i rampolli della grande borghesia francese di quel tempo, venne spedito, mentre la Francia era sotto l'occupazione nazista, in un collegio cattolico (i cui ricordi ispireranno più avanti Arrivederci ragazzi). Dall'età di 14 anni, si interessò alla macchina fotografica del padre ma, malgrado la forte passione di Malle per quest'arte visiva, fu spinto dalla famiglia a iscriversi ai corsi di Scienze politiche alla Sorbonne di Parigi. L'amore per un altro genere di vita e, soprattutto, la ribellione contro i genitori, lo spinse a lasciare gli studi politici e a intraprendere invece quelli cinematografici, laureandosi all'IDHEC.
La prima candidatura all'Oscar
Negli Anni Cinquanta, Jacques-Yves Cousteau, alla ricerca di un giovane assistente per co-realizzare un documentario sui fondali marini, scelse fra i tanti studenti che si proposero per quel posto il giovane Malle che lo seguì sulla Calypso e firmò con lui Il mondo del silenzio (1955), primo documentario a ottenere una Palma d'Oro a Cannes (solo un altro documentario ci riuscirà: Fahrenheit 9/11 di Michael Moore) e una candidatura all'Oscar. Purtroppo, durante le riprese, proprio Malle fu vittima di un incidente: i suoi timpani scoppiarono durante un'immersione e non poté più effettuare lavori di quel tipo.
Toccata e fuga dalla Nouvelle Vague
Fu così che, staccandosi dal genere documentaristico e stimolato a dedicarsi ai film a soggetto, si accostò a progetti cinematografici provocatori, optando per argomenti critici e controversi come l'adulterio e l'incesto. Vitale, in questo periodo della sua carriera, l'incontro con Robert Bresson durante la realizzazione di Un condannato a morte è fuggito, che lo introdusse ai temi della Nouvelle Vague, senza che però avvenisse un suo allineamento con il movimento culturale francese, visto che non ne riconobbe mai le caratteristiche peculiari facendole proprie. Malle ne condivideva solo alcune particolarità ma, fu spinto al suo fare cinema da altre motivazioni che nulla ebbero a che vedere con il rifiuto di un cinema francese classico e con una conseguente riscrittura e rilettura della storia del cinema.
I primi film con la Moreau
Fu così che a soli 25 anni, firmò il suo primo lungometraggio Ascensore per il patibolo (1958) con Jeanne Moreau e Maurice Ronet, un pesante, macchinoso e stravagante dramma che giocava con i codici del cinema noir e che aveva come autore della colonna sonora il jazzista Miles Davis. Il film gli fece ottenere il Prix Louis-Delluc. Trovando la sua strada e la sua interprete prediletta, diresse nuovamente la Moreau in Gli amanti (1958), pellicola che attaccò l'ipocrisia della società borghese attraverso l'analisi di una relazione adultera. Lontanamente ispirato al romanzo Senza domani di Vivant Denon, Gli amanti, tecnicamente diretto con abilità, vinse il Premio Speciale della Giuria al Festival di Venezia.
Zazie nel metrò
Nel 1960, fu ancora un adattamento cinematografico (sceneggiato da François Truffaut) di un romanzo a fargli ottenere il successo. Uscì infatti in quegli anni, Zazie nel metrò con Philippe Noiret e Vittorio Caprioli, tratto dal romanzo omonimo di Raymond Queneau. Zazie, una ragazzina di provincia in visita a Parigi, scopre la capitale a modo suo. La pellicola, avvalendosi di un linguaggio volutamente disarticolato e montato con un ritmo velocissimo che privilegia le gag, ne esalta lo stile leggero e ludico, seppur non minando al valore intellettuale dell'opera.
Fuoco fatuo
Nel 1963, fu di nuovo la Moreau a essere protagonista di un film di Malle: Fuoco fatuo. Trasposizione di un dramma di Pierre Drieu La Rochelle che ha come tema la depressione e il suicidio, in questo più che in tutti gli altri film, il regista tentò di staccarsi dagli schemi troppo rigidi della Nouvelle Vague, prediligendo un cinema che fosse anche attento studio psicologico del protagonista, descritto con voluto distacco ma, senza raggelarne il dramma che è comunque avvertito come vicino allo spettatore. Dolore e intensa sofferenza lo portarono a stringere fra le mani un secondo Premio Speciale della Giuria a Venezia e persino il Premio Pasinetti.
Viva Maria e Il ladro di Parigi
Nel 1965, arrivò a fare l'impensabile. Mettere insieme il lato glamour del cinema francese con quello più intellettuale, vale a dire, dirigere nello stesso film, Viva Maria, la bionda Brigitte Bardot e la mora Jeanne Moreau, che fu uno dei suoi successi più commerciali. Concluso anche questo progetto, ritornò a uno sguardo più cinico sulla borghesia e le élites politiche in Il ladro di Parigi (1966) con Jean-Paul Belmondo, vera e propria esaltazione della figura dell'uomo libero all'interno di un sistema troppo sovraccaricato di pregiudizi saccenti e presuntuosi. Accuratissimo nella ricostruzione scenografica e nella sua sceneggiatura, il film convinse il pubblico e la critica, con un ritmo sostenuto e non senza qualche dose di umorismo.
Il passo nel delirio
Nel 1967, fu coinvolto da Roger Vadim e Federico Fellini nella direzione di un cortometraggio a tinte horror che poi andrà nel film a episodi Tre passi nel delirio con Brigitte Bardot, Jane e Peter Fonda, Alain Delon e Terence Stamp. Purtroppo, sarà oscurato dalla grandezza di Fellini ma, riuscirà comunque a fare un lavoro migliore di quello di Vadim.
Gli scandali: Soffio al cuore e Occupazione
Dopo un lungo viaggio in India, profondamente ispirato dalla lettura del romanzo "Ma mère" di Georges Bataille, decise di dirigere quello che fu forse il suo film più scandaloso e provocante, nonché uno di quelli che incarnò maggiormente e raccolse dentro di sé tutti gli elementi del suo cinema. Un Soffio al cuore (1971) con Lea Massari, descrive il rapporto incestuoso fra una madre e suo figlio, senza però sostenere alcun giudizio morale. Il suo cinema, insomma, parlò chiaro: al mondo non ci sono innocenti né colpevoli, non esiste il Bene e il Male, è lo spettatore, l'essere vivente, che deve formare la sua opinione che può essere a favore e contraria, ma pronunciata non in anticipo. Fu così che l'inquietudine sentimentale di un adolescente, i suoi complessi rapporti con il mondo, la sua psicologia molto convincente, si fecero riflesso dell'ambiente della provincia francese e, forse, del mondo intero. Meritatamente, Soffio al cuore ottenne una candidatura all'Oscar per la sceneggiatura. Ma fu ancora scandalo quando, tre anni più tardi, decise di dirigere Cognome e nome: Lacombe Lucien (1974), storia di un ragazzo che si impegna con il governo collaborazionista francese, dopo aver tentato inutilmente di avere un ruolo nella Resistenza. Ancora una volta senza alcun pregiudizio, Malle azzardò un tema difficile ed essenzialmente legato a circostanze storiche che non possono fare altro che inimicargli critica e pubblico. La polemica contro il suo cinema esplose e si fece così aspra da spingerlo a espatriare per il resto della sua vita negli Stati Uniti.
Il periodo americano
Iniziò così il suo periodo americano, benedetto dal successo di pellicole che affrontarono i temi più disparati, dalla prostituzione infantile con Pretty Baby (1978) con Brooke Shields (all'inizio fu più improntato verso Jodie Foster che però declinò l'offerta) alla mafia con Atlantic City U.S.A. (1980) con Burt Lancaster, Susan Sarandon e Michel Piccoli. Fece centro. Il cinema statunitense lo vide come un autore schietto, ambiguo nel cogliere il passaggio fra innocenza e corruzione ma, alla maniera bergmaniana e hustoniana, vale a dire costruendo dure parabole di squarci squallidi e bruti. Fra corpi acerbi, figure smilze, composizioni scenografiche eleganti e sceneggiature morbose, equilibrate, totalmente prive di morali e di sentimentalismi, otterrà il Gran Premio Tecnico al Festival di Cannes per il primo film, mentre per il secondo riuscirà ad avere una candidatura all'Oscar come miglior regia, al Golden Globe nella stessa categoria, un BAFTA e, soprattutto, il prestigiosissimo Leone d'Oro.
Il progetto mancato con Belushi
Nel 1982, la morte di John Belushi gli impedì di realizzare con Dan Aykroyd il film di satira politica Moon Over Miami. Cercò di rifarsi con I soliti ignoti made in Usa (1984) con Sean Penn ma, la commedia non suscitò l'attenzione del pubblico.
Il capolavoro: Arrivederci ragazzi
Ritornato in Francia nel 1987, tentò di confrontarsi con uno dei suoi temi più cari: l'Occupazione. E fu proprio con Arrivederci ragazzi che sancì definitivamente la sua consacrazione. Grazie ai suoi ricordi vissuti ai tempi della sua permanenza nel collegio cattolico, alla scoperta del cameratismo, dell'amicizia ma anche dei dettami della borghesia, costruì un dramma di formazione che però ebbe il merito di mostrare uno spaccato della guerra. Tutto questo, senza rinunciare a quelle che furono le tematiche tipiche del suo universo artistico: il collaborazionismo, la fusione sentimentale fra madre e figli, la mancanza di un giudizio personale, la fatalità. Con fluidità e sobrietà, Arrivederci ragazzi andò incontro a un trionfo di critica e di pubblico ottenendo, dal 1987 al 1988, una moltitudine di premi internazionali (Nomination all'Oscar per la miglior sceneggiatura, BAFTA per la regia, tre César per il miglior film, miglio regia e miglio sceneggiatura, tre David di Donatello per il miglior film straniero, miglior regista straniero e migliore sceneggiatura straniera, un European Film Award, il Leone d'Oro, il Premio OCIC, il premio UNICEF, il Premio Sergio Trasatti, il Ciak d'oro, Nastro d'Argento). Fu il suo canto della vittoria contro coloro che lo avevano sempre disprezzato.
Milou a maggio
Celebrato con il Premio François Truffaut, nel 1989, ritornò al grande schermo con Milou a maggio (1990) con protagonista Michel Piccoli. Tornato ad atmosfere più leggere, descrisse le dinamiche di una famiglia borghese nel pieno del '68, facendone risaltare le incoerenze e ottenendo un nuovo David di Donatello come miglior regista straniero. Un altro gol per questo Maestro del cinema internazionale che pennellò la sua filmografia di una nuova prova di eclettismo. Sconcertante (anche a causa di alcuni ammiccamenti al cinema buñueliano) e semplice, la storia di un arzillo vedovo che trascorre le sue giornate in campagna diventa un piccolo film che, con grazia, si delineò come un piccolo capolavoro di straordinaria forza visiva.
Il nuovo scandalo: Il danno
Nel 1992, fu ancora scandalo. Uno degli ultimi ma, non meno tonante di altri. Arrivò Il danno. Premendo i tasti dell'erotismo più feroce, Malle raccontò la tenera e torbida ambiguità di un rapporto amoroso fra nuora e suocero che, naturalmente, sfocerà in una malsana tragedia familiare. L'ultimo graffio a una società borghese di cui fece parte e che condannò fortemente film dopo film.
Ultimo film e la morte
L'anno successivo, Louis Malle divenne il presidente della giuria al Festival di Cannes e, nel 1994, firmò il suo ultimo film, Vanya sulla 42esima strada, teso adattamento moderno di "Zio Vanja" di Cechov. Poi morì il 23 novembre 1995 a Los Angeles per un linfoma.
Il genere documentaristico
Nel corso della sua carriera, il regista alternò spesso film a soggetto con documentari. Uno dei documentari più conosciuti fu, senza alcun dubbio, il già citato Il mondo del silenzio, co-realizzato con Jacques-Yves Cousteau, ma sono da segnalare anche Calcutta (1969) e L'Inde fantôme (1969), basati sulla sua esperienza di viaggio in India. Dopo aver scoperto la povertà di una nazione, tornò al suo paese per descrivere la povertà degli operai francesi che lavoravano nella fabbrica Citroën a Rennes in Humain, trop humain (1974), passando a quella americana con God's Country (1985) e À la poursuite du bonheur (1986).
Vita privata
Sposato dal 1965 al 1967 con Anne-Marie Deschodt, nel 1971 divenne padre di Manuel Cuotemoc, avuto con l'attrice tedesca Gila von Weitershausen. Tre anni più tardi, divenne per la seconda volta padre. Stavolta, una femmina: Justine Malle, figlia dell'attrice franco-canadese Alexandra Stewart. Dopo l'incontro con Candice Bergen, decide di sposare l'attrice nel 1980, diventando così padre per la terza volta. Chloé Malle, nasce infatti nel 1985. La Bergen rimarrà ma moglie di Malle fino alla sua morte avvenuta in California nel 1995.